Il significato delle parole
23 dicembre 2017
(di Marino Pagano, giovane giornalista, poeta e amico bitontino)
Era sceso in paese per le feste, come sempre. Bambini in auto
urlanti e giocosi, moglie tutta virtù e frenesia, pacchi pacchetti pacchettini.
Pronti e via. L'autostrada, il solito fascino. Viaggio, pause, chilometri.
L'Italia spaccata: lasci le brume di Pavia ed ecco il paesello.
Ogni volta le stesse chiacchiere, le stesse frasi di circostanza, i parenti e
le loro curiosità.
Zie, cuginastri e dei nonni ormai solo il ricordo. È già notte. Tardi. Dopo
aver guidato tutto il giorno, i panini, le pipì e i caffè, ecco il riposo nel
letto della sua vecchia stanza di ragazzo. La moglie e i pargoli di là, nel
letto grande. Un'occhiata ai gagliardetti, a qualche vecchia enciclopedia e si
dorme già.
Al mattino, per Francesco, un vecchio rito. La colazione al bar economico.
Così, per tornare fanciullo. Un euro, caffè e cornetto. E fa niente se i
genitori avevano insistito per il caffè di casa.
Quell'uscita aveva un sapore
speciale. Appena fuori dal bar, Francesco incontra due occhi, ne sente il
richiamo. Non sono occhi nuovi, sembrano provenire da lontano.
Ma sì, Francesco ha davanti a sé Marco.
Marco, l'amico di una vita, di una parte importante di esistenza. Francesco e
Marco, Marco e Francesco. Cresciuti insieme, fratelli.
Quanti anni da quella brutta incomprensione. Una vita a giocare, a far lite, a
sorridere, a passarsi ragazze e poi il buio. Oblio.
Ma Marco ora è lì. Sulla via grande della cittadina, quella dei negozi, Marco è
per Francesco l'emozione di un riconoscimento.
È lui, c'è poco da fare. Chissà quante altre volte lo aveva cercato. E invece
ora accade così, con la busta dei cornetti piena per i bimbi e forse anche per
suo padre, al diavolo quel pizzico di diabete. "Ciao, Marco". E lui:
"France', come stai? Ma quanto tempo è che non ci si vede? Lo so che stai
fuori, me lo disse tua madre".
Francesco non riusciva a capire.
Marco fingeva di non ricordare o davvero aveva dimenticato la gravità di quanto
allora successo? Il dialogo finì con una breve risposta sua e poi, coi cornetti
caldi a pretesto, ecco la fuga.
Marco gli sembrava un'altra persona. Palesemente invecchiato e ingrassato. Un
particolare gli rose l'anima. Marco aveva una stampella, zoppicava vistosamente
e, forse, irrimediabilmente. Capelli bianchi. Un viso segnato.
Ma gli occhi
avevano parlato. Dicevano quasi aiuto. C'erano stati vent'anni di silenzio e un
dolore che Francesco visse con dignità ma che non riuscì a cancellare. Troppo
grosso il torto subito.
Il suo vero fratello intanto era terribilmente appesantito, soffriva, e tutto
ciò era successo senza di lui.
Assenze. Magari drammi ignoti. Il nulla. Quei
due ragazzi inseparabili erano invece diventati perfettamente separati: da
mille chilometri e poi da direzioni di vite ormai inesorabili nelle loro
differenze.
Brillante ingegnere, Francesco; giornate intere passate ai banconi del bar,
Marco.
I giorni successivi furono strani. Francesco sembrava assente. Sorrisi spenti e
abbracci un po' così. Le feste passarono. Come da routine, tutto finì e la
famigliola ripartì. Durante la sua permanenza, aveva provato a tornare in certi
luoghi. Aveva cercato di nuovo lo sguardo del suo vecchio amico, quello che un
giorno lo tradì e che ora sembrava tradito dalla vita.
Non lo rivide.
Un bacio ai suoi, sempre più vecchi e sempre più soli. Il nord aspettava. E il
lavoro pure. Durante il viaggio Francesco guidò con il pensiero altrove. Ma
nessuno se ne accorse. Nemmeno i bambini, nemmeno la moglie. Francesco era
triste.
Si chiedeva se quella vita da realizzato socialmente, ma con amicizie che non
andavano oltre il suo pianerottolo, potesse bastargli. Amava sua moglie e così
quelle due tenerissime pesti. Ma il suo sguardo ormai diceva mancanze.
Francesco scrutò il cielo, disse a sé che si sarebbe inventato altri Natali e
tutte le Pasque del mondo per andare di nuovo al suo paese, per cercare
Marco.
Marco invece un giorno morì.
Stava male, malissimo. Nessuno disse nulla a Francesco, che non ebbe notizie
nemmeno da altri amici ed era lontano dai social.
Quarant'anni, di cui i primi venti a giocare con Francesco. Ma ora Marco non
poteva più bivaccare tra bar e tabaccai. Si era accasciato e non avrebbe più
camminato proprio l'indomani dopo quegli sguardi veloci e quelle sillabe
stentate, emozionate.
Un incontro proprio impossibile da eludere.
Francesco scese e riscese al paese.
Smise di cercare solo perché capì che avrebbe passato i successivi venti e più
anni a giocare coi ricordi, a correre nel suo cuore col suo amico galoppante,
ad abbracciarsi nei bar contenuti in tutte le possibili fantasie, a segnare gol
nella "porta dei miracoli", come chiamavano la stretta rete che di
volta in volta costruivano per giocare a pallone.
Francesco seppe. Pianse.
Qualche anno dopo, prima di raggiungere la tomba del suo amico, la vide già
presidiata da un ragazzino che non piangeva ma che sembrava raccontasse
qualcosa ad una fanciulla, che teneva mano per la mano. Francesco non volle
informarsi. Non sapeva chi fosse. Qualcuno gli parlò di un probabile
"errore di gioventù" di Marco. Quell'errore intanto era lì, in carne ed
ossa, un pochino più grande dei suoi figli. Forse a parlare di un padre mai
nato.
Francesco lasciò il cimitero.
Era maggio, il sole lo stava sfiancando.
Un segno della croce e poi capì.
Capì che avrebbe ritrovato l'amico in ogni domanda buffa dei suoi bambini, cui
avrebbe insegnato che nella vita tutto, tutto, è da cogliersi e che semmai
avrebbero potuto e dovuto imparare tanto dal silenzio vero ma nulla, proprio
nulla, dalle parole di verità non dette, dai mutismi insensati, dalle pause
infeconde.
Poi Francesco tornò ancora al sud e così un uomo di mezza età e un ventenne se
ne andarono verso il mare a cercare spazi di solitudine abitata, a guardarsi
negli occhi e a parlarsi, non si sa mai.
Roberto, il figlio di Marco, aveva proprio lo stesso sguardo di papà.