mercoledì 26 aprile 2017

Ricordi ritrovati
24 aprile 2017

Mi rendo conto di aver smarrito alcuni ricordi. 
Oggi ne ho trovato uno, risvegliato da una giornata di primavera, diversa da tutte le altre. Qualche giorno di festa dal lavoro, una giornata vuota come non ricordavo da tempo. I bimbi a scuola, le faccende domestiche iniziate e non completate, un sole tiepido che richiama all'esterno. 

E poi, una idea, condivisa con te, che sei per me una amica speciale, di fare una passeggiata al parco nel primo pomeriggio. I preparativi, le occhiate allo specchio, le cuffie per la musica e una coda per tenere alti i capelli.  
Gesti che faccio costantemente ma che oggi mi sembrano più lenti, per via di un tempo che sembra diluito. Uno sguardo all'orologio e una corsa all'appuntamento, ad un angolo di strada tra me e te. 

Eppure tu abiti lì, a pochi passi da me. Mi avvicino al tuo palazzo e ti citofono, la tua voce squillante mi preannuncia che scenderai. Ti aspetto, ti vedo arrivare, il tuo inconfondibile sorriso arriva a me ancora prima di vederti e torna intatto il ricordo perduto.

Non esistevano appuntamenti, quando ero ragazzina, che non annunciassero ritardi o brevi attese. Era normale attendere l'arrivo dell'amico, perché anche quei minuti di vuoto erano parte del rito, bellissimo, dell'amicizia. Non c'era il cellulare nè Whatsapp, non era possibile avvertire se per la strada avevi incontrato un amico, avevi parlato un po' con lui, e avevi tardato. 

Però potevi andare direttamente a casa del tuo amico, senza preannunciarti, citofonare e regalare l'emozione di esser cercati. Quante volte un pomeriggio si è acceso di luce, da piccola, quando un amico mi ha cercato all'improvviso. Ho ripetuto quel gesto oggi, di cercarti, amica mia, e ho ritrovato un po' di quella magia. 

Mi impegno, nel tempo vuoto che certamente ho, per quanto lo occupi con attese virtuali, a cercarti ancora. A suonarti nel bel mezzo di un pomeriggio in cui non aspetti la mia visita,  a regalarti la mia presenza e non solo i miei messaggi, a lasciare che ti senta cercata da me. Mi impegno a farlo con ogni persona che amo. Le persone non possono essere trovate, occorre cercarle. 

Per ritrovare i ricordi che aspettano solo di essere risvegliati.


"La legge del dono fatto da amico ad amico è che l'uno dimentichi presto di aver dato e l'altro ricordi sempre di aver ricevuto"
(Lucio Anneo Seneca)

mercoledì 19 aprile 2017

Tutti convocati
(aprile 2017)


Se hai un figlio o una figlia appassionata di calcio, basket, rugby o pallavolo, prima o poi ti capiterà di leggere, su un foglio incollato al muro, in una palestra o in un cortile, in un tardo pomeriggio di inizio primavera, le convocazioni per la partita del fine settimana. Quella più importante del campionato, quella decisiva per la squadra. 
E potrà capitare, a seconda di quanto talento, grinta e carattere abbia il tuo bimbo o la tua bimba, di leggere il suo nome in mezzo ai convocati o di cercarlo invano. Potrà capitare che qualcuno ci rimanga male. Meno spesso accade di leggere la delusione negli occhi dei bimbi esclusi, perché ciascuno di loro sa quando e perché è chiamato a partecipare. Più sovente potrai leggere rabbia o amarezza nei genitori che cercano in quella lista la conferma di un talento fenomenale che intravedono nei figli. E poi c'è sempre un allenatore o una allenatrice, che è chiamato a decidere e che subisce critiche, qualunque sia la decisione.

In tarda serata, mentre metti via tutti gli indumenti umidi dell'allenamento e cerchi di appaiare i calzini, di dividere i colori in lavatrice, hai una illuminazione e capisci davvero il senso di questi conflitti.

A questa partita siamo tutti convocati, pensi. Ma in pochi rispondono come dovrebbero. 
Siamo convocati come genitori ad accettare i figli per quello che danno e sono. Convocati ad educarli all'attesa, all'allenamento costante per rinforzare il proprio carattere e costruire la propria forza interiore. Convocati a stimolarli, se pigri, a ridimensionarli quando si riempiono di esuberanza. Convocati a mostrare ai figli che ciascuno ha un talento interiore che va solo trovato e curato, ciascuno ha la sua strada e il suo meraviglioso compito da realizzare. 

Convocati ad insegnare ai propri figli ad amare e rispettare un mondo che ha tante contraddizioni ma che non è impossibile da cambiare. Partendo dal piccolo operato quotidiano di ciascuno, cambiarlo per migliorarlo. 
Siamo convocati come educatori ed allenatori, nel difficilissimo compito di scegliere e al tempo stesso di dare possibilità a tutti, di premiare e stimolare, di provare a vincere e contemporaneamente di insegnare a perdere. Convocati ad accettare le scelte degli altri, le loro idee e a guardare gli altri con tolleranza e apertura. Ad essere amici, ossia a condividere il cammino con chi è accanto a noi.
Non c'è mestiere più complesso di questo, ma c'è speranza che questa convocazione ci renda più attenti e sensibili. 

Siamo convocati come esempi di adulti, come uomini e donne che pensano, riflettono, che imparano a non arrabbiarsi, che parlano deponendo le armi dell'egoismo. Perchè i bimbi ci guardano, e con ogni probabilità faranno i nostri stessi gesti e diranno le nostre stesse parole, quando saranno adulti.

Siamo convocati ad una partita che non ha nulla a che vedere con un campionato. Una partita che renderà i nostri figli non vincitori, ma uomini e donne felici, compiuti e completi. 

Tutti convocati, allora, che si giochi o che si resti sugli spalti. Ovviamente provvisti della tuta di rappresentanza della società e delle migliori scarpe. Perché la strada è dura e impervia, ma si può percorrere.

giovedì 6 aprile 2017

La saggezza e la speranza della “crescitura”. Sui tempi difficili.


Aprile 2017 


Mi capita sovente che la mia storia personale si intrecci con quella collettiva. Me ne accorgo dopo qualche giorno, mentre rifletto su quello che succede.

Stiamo vivendo giorni un po’ strani, pieni di polemiche e densi di dissapori. A livello sociale spesso assistiamo ad episodi di violenza verbale, di responsabilità orfane e diritti soffocati. Nelle scuole dei nostri figli, negli uffici di chi decide la vita cittadina, nelle case di molti di noi, nei luoghi di lavoro dove viviamo, aleggia una insoddisfazione generalizzata verso la società civile. C’è chi fatica a rintracciare il benessere del singolo dentro quello collettivo, c’è chi rinviene - nelle scelte politiche quotidiane - sguardi miopi e comoda indifferenza verso le generazioni che verranno, c’è chi non conosce il peso delle azioni che è chiamato a svolgere. Talvolta dimentichiamo persino che le parole che ciascuno di noi pronuncia, quando siamo insieme agli altri, possono creare crateri, dissidi, dolore e finanche odio. Eppure da sempre, da quando siamo venuti al mondo, tante volte le raccomandazioni materne ci hanno esortato al rispetto, anche verbale, del mondo. Tante volte le parole degli educatori ci hanno mostrato la bellezza e la ricchezza delle differenze tra le persone, tra le culture e tra le vite individuali. Nonostante ciò, diventando adulti, la maggior parte di noi ha dimenticato chi siamo, la storia dei nostri padri, la ragione delle tante battaglie combattute, il valore di una vita di pace ed armonia. Con questi pensieri, tutti nati dai numerosi stimoli che il mondo “fuori casa” ci offre, ritorno a casa alla fine di una giornata qualunque e mi dedico al mio piccolo micro-mondo in cerca di sostegno e quiete. Le cose girano, qui funzionano (pare) e la storia mi sembra migliore. 

Dopo poco, assorta in questi pensieri, qualcuno mi chiama a voce alta ed insistente. Il mio bimbo, 5 anni tra poco, mi dice che a scuola ha avuto male alla gamba. Non molto, non forte, un lieve dolore come se ogni tanto qualcuno la tirasse da dentro. Mi dice che a scuola ne ha parlato con la sua dolce maestra, che meglio di me ha trovato i toni giusti per rassicurarlo. “Mamma mi ha abbracciato e mi ha detto che quel male è a causa della crescitura!”.Ho riso perché non ne potevo fare a meno, ma lui stizzito ha incalzato: “Perché quando le cose diventano grandi, come me, per diventare alte, lunghe e forti ci vuole un po’ di dolore, sai mamma?!”.

Dopo il mio pensiero è tornato alla “crescitura” e alla saggezza di cui i miei figli sempre mi fanno dono. Ho pensato allora ai miei giorni, al mio tempo e alle inquietudini che nutro verso un mondo che spesso non somiglia all’idea che io ho di lui. Ed allora mi è venuto in mente che per diventare maturi, talvolta, si deve passare da un periodo di dolore, di difficoltà e crisi. Perché quella stessa difficoltà, temuta e incompresa, consente al corpo – umano e collettivo  - di imparare a rialzarsi, a combattere o semplicemente ad accettare il suo limite trasformandolo in forza.
Mi piace pensare oggi che anche il mondo “fuori casa” stia solo crescendo, come le gambe dei bimbi, stia solo diventando migliore.

Questo sguardo, ora, mi spinge a non rimanere ferma a guardare la crisi ma ad alzarmi per aiutare la difficile ma inevitabile “crescitura”.

Lo devi leggere (7) Esistono libri per curare la nostalgia. A casa di Judith Hermann, Fazi Editore   “Questo mondo è il mio mondo perché mi ...