giovedì 23 agosto 2018



Rivoluzione post partum
Quello che ho dentro adesso che sono diventata mamma 

(Liberamente ispirato a M. E al suo piccolo E.)


Semplicemente mi chiedono come stia.  Tutte le persone che, da quando è nato il mio piccolo tesoro, sono venute a trovare me e lui. Ciascuno portando con se’ un dono fatto di consigli, esperienze, segreti, perfette strategie per sonno, veglia e allattamento. 
Mi chiedono come io viva questa esperienza. Rispondo spesso con un sorriso, perché non so come fare a raccontare davvero quello che sta accadendo dentro di me. 

Poi un messaggio diverso, di una persona speciale, che vuole sapere se, nonostante il trambusto dei primissimi giorni dopo la nascita di un figlio,io sia felice. 
A lei rispondo in un modo diverso e cerco di spiegarle cosa provo.  

Il corpo, quello, ha conosciuto momenti migliori. Porto addosso del peso che prima non avevo e non sono abituata a questa nuova me. Ho un taglio che mi brucia e tira, quello stesso che però ha concesso al mio piccolo di non avere complicazioni nel momento della nascita. Non posso essere arrabbiata per quello. 

Avrei bisogno di dormire, almeno credo. Il giorno e la notte si sono mescolati in un tempo senza ore, ma anche quando potrei dormire, quando lui è sereno o riposa, il mio sonno è cambiato, sono legata al suo respiro come se fosse diventata la musica del mio nuovo vivere.

Nei miei seni una abbondanza di nutrimento che fa assomigliare il mio bisogno di lui al medesimo bisogno che il mio amore ha di me.  

La risposta alla domanda che tutti mi pongono è proprio qui. 
Non è tanto quello che mi viene chiesto, da lui o dal momento che sto vivendo. Piuttosto è quello che sto ricevendo io. 

Ho cercato per trent’anni la rivoluzione della mia vita, quella svolta in grado di dare un senso alla mia ricerca di felicità. Sono stata scout da ragazzina e in quegli anni di servizio avevo intuito qualcosa, sotto la pelle. Ossia che il sentore di una tenera e genuina felicità fosse tutto dentro alla offerta di energia e tempo dedicati agli altri

Poi ho conosciuto il papà di questo splendore che ora nutro e ancora questa percezione é riemersa con tutta la sua forza. Ogni volta che uscivo da me stessa per offrirmi a lui, che abbandonavo un pregiudizio per aprirmi a nuove idee o modi di vivere, sentivo la nascita della felicità interiore. 

Oggi ne sono certa, sono felice. Mio figlio mi ha condotta ad abbandonare in una sola notte le mie abitudini, i miei ritmi e le mie convinzioni. Mi ha mostrato, senza parole, con i suoi gesti sottili e tenui pianti, che io non sono quello che sono abituata a fare, io non sono le mie certezze, io non sono il tempo in cui mi prendo cura del mio corpo o del mio aspetto. Io sono solo quello che offro, quello che dono agli altri e quella che di me resta nella storia e nelle vite di chi amo.

Come sto? Sono in piena rivoluzione, grazie a mio figlio sto camminando in un sentiero nascosto pieno di amore. Quando dicono che diventare genitori è difficile ma pieno di gioia è proprio vero. Diventare mamma per me significa comprendere tutte le altre persone del mondo, che sono stati e saranno per sempre figli.  Dietro ogni figlio c’è una mamma e c’è esattamente lo stesso amore e la medesima rivoluzione che sto vivendo io.

Il senso della vita, della mia, è semplicemente offrirmi. Offrirsi uscendo dall’individualità in cui viviamo, credendoci unici e sempre erroneamente al centro dell’unico mondo che vediamo. 


(In apertura l'opera Madre e figlio di Andrea Aloi http://www.andreaaloi.it/it/graphite-drawings-3/2006-opera-madre-e-figlio.html)

domenica 8 luglio 2018




Il tuo vestito di mancanze.
(Mai interi, a casa e nel mondo)

Luglio 2018

Conosco una donna che ha riempito di foto la sua casa. Di quando era bambina, adolescente, donna, madre, amica o soltanto se stessa. E foto di quando suo marito era ragazzino, prima che incontrasse lei, dei loro incontri, dei primi tempi insieme, del loro matrimonio, della nascita dei loro figli, dei loro amici, dei viaggi, dei nipoti. È il suo modo di sentire vicine persone lontane, che abitano in posti che si trovano nell’altra parte del mondo.

Conosco una altra donna che ha smesso di dire che è felice, anche quando lo è. Che si circonda di mancanza. Che sente il bisogno delle persone che ama anche quando sono accanto a lei. Lì, ad un passo da lei. Questa donna vive l’assenza di persone che ama, e questo l’ha resa fragile e triste.

Una donna che forse, così, con questo abito di imperfezione (specchio di quel difetto che vede nel suo mondo), si difende, ritenendolo necessario per vivere, da un dolore. Tenta ossia di tenerlo costante, di renderlo amichevole, di dargli spazio dentro il suo quotidiano attendere. In questo modo la vera assenza, fisica di quando è sola, somiglia ad una vicinanza non completa che lei riserva a chi le è davvero vicino.

Il contatto non è mai pieno né è mai vuoto. In questo modo quella amabile donna, che io amo e del cui rimedio sono in parte la causa, non è mai sola. Mai pienamente felice né triste.
So che è difficile, perché ciascuno deve affrontare oltre (prima) che le condizioni esterne, il proprio modo di vedere e percepire il tempo, la storia che è chiamato a vivere. Perché per trovare la felicità in modo pieno occorre spogliarsi, rendersi vulnerabile, abbandonare ogni difesa e ammettere di avere tutto quello che il cuore e la mente cerca. Non significava non avere mancanze ma non vestirsi di esse, godendo le presenze.

La sete e la fame verranno, dopo questo stato di estasi. Sono lì, puoi già intravederle, ad attendere il cuore instabile di un uomo qualsiasi. Eppure ognuno di noi cerca un modo per difendersi dal dolore, a costo talvolta, qualcuno, di rinunciare alla pienezza.

A quella donna vestita di mancanze, regalo pensieri di gioia piena, senza pensare alla mancanza che verrà. A lei invio preghiere, affinché trovi nuove vesti dove le debolezze siano talmente forti da renderla felice, triste, pienamente senza confini. Nessuno è intero né nella gioia né nel dolore.




Frase tratta da "Il visconte dimezzato", di Italo Calvino
Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse‚ stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso‚ e te l’auguro‚ ragazzo‚ capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo‚ ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine‚ perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.”



In copertina "Notte stellata",  Vincent Van Gogh, realizzato nel 1889





giovedì 21 giugno 2018

Stesso sentire

21 Giugno 2018



“– Chi ama vuole solo l’amore, anche a costo del dolore.
– Mi fai soffrire apposta, allora.
– Sì, per vedere se mi ami.”
da Italo Calvino, Il Barone rampante




Oggi ho saputo che è nata una bimba di una mia amica e che è morto il papà di un altro mio amico.
Ho dovuto trattenere dentro due sensazioni tanto diverse, nello stesso momento.
E nel tenerle lì vicine, l’una che tocca l’altra, la sensazione rotta di dolore stretta alla gioia sincera di un primo vagito, ho intuito, in modo istintivo e basilare, quasi infantile,  l’identità di quello che proviamo.
Il distacco da chi amiamo si radica nell’amore che proviamo per uomini e donne che ci camminano a fianco in questo cammino misterioso di vita.

L’amore nasce sempre con una gioia, quella di ritrovarsi genitori, di non credere possibile di potere generare la vita e di essere da essa pienamente investiti, la gioia di avere fratelli e sorelle in grado di aiutarti sempre, di essere figli e raccogliere messi piene di speranze e generosità, di conoscere volti che poi diventeranno amici per sempre, di incontrare persone una volta, una volta e mai più, ma di sentire una empatia miracolosa.La gioia di sentirsi simili.

L’amore nasce da una gioia e genera dolore. Quando si muore e non ci si vede più. Quando non ci si riconosce più, quando non si parla o quando ci si ferisce, quando dimentichiamo di interessarci del dolore dell’altro, quando giudichiamo senza sforzarci di capire. 

IL dolore e la gioia sono medesime espressioni di un sentire profondo, legato alla natura di uomini.
Ho quindi riso e pianto, insieme, non temendo di profanare momenti di silenzio o bagnare sorrisi di festa. Semplicemente vivendo, senti di essere vivo.

Risultati immagini per il barone rampante

mercoledì 6 giugno 2018



Il disegno di una storia
maggio 2018



Esiste un tipo di arte, intima e rara, che nasce da una necessità. 
Questa è la forza che riempie i disegni di Elisa, giovane artista emiliana, e che li rende unici.

La necessità di appartenere al mondo, alla natura e alla vita che ci travolge nei nostri quotidiani affanni. 
Appartenere a qualcosa di più grande ed universale pur rimanendo umilmente legati al proprio percorso di individuo.
Appartenere ad un senso di comunità dove il pensiero di una singola persona arricchisce quello di tutti.
Appartenere ad un Amore universale, capace di comprendere l'altro, anche quando differente e lontano da comuni stereotipi e modelli.

In queste rare occasioni, i disegni diventano storie, ciascuno in grado di nascere prima che da una immagine, da un vissuto, da un racconto e da episodi realmente accaduti.

Esiste un tipo di arte che sa trasportare oltre quello che essa propone, portando lo sguardo di chi osserva ad immaginare la vita di chi è stato ritratto. Questo rapimento non accade spesso.
Nasce da un dolore, da una gioia, da un moto dell'animo, da un modo di vivere pieno e leggero. Di chi disegna e di chi guarda.
Chi ha potuto assistere alla nascita di questa arte, alla sua prima manifestazione, in un letto di ospedale, ha potuto vedere nella matita di Elisa una finestra aperta, allargata e spalancata verso un prato ventoso e luminoso, in una stagione primaverile, con un profumo di speranza e silenzio.
I disegni di Elisa rappresentano un viaggio, che è possibile compiere senza bagagli e con il desiderio di evadere dai rituali modi di concepire un racconto.

Disegno n. 52: "Con l'aiuto dei gabbiani disegnerò" 

martedì 29 maggio 2018

L'attesa che riempie 
maggio 2018




A chi non è capitato di finire in un corridoio bianco, asettico, freddo di un ospedale aspettando che qualcuno che si ama superi un momento di sofferenza e malattia?
Quei passi, continui, uno dietro l’altro che all’improvviso ti mettono davanti alle tue paure, ti spingono verso la parte più fragile di te stesso, quelle ore lunghe e vuote che ritrovi a vivere dopo tanti, troppi mesi di corse e rumore.
Oggi è capitato a me. Aspettavo te.

Ero lì, senza impegni, senza scudo. Il cellulare che taceva, la vita fuori che correva senza di me, senza di noi, egoista e bellissima. Tu dentro quella sala e un pezzo di me tra le tue mani e sulle tue labbra.

E accanto a me altre attese, altre vite così spaventosamente simili alla mia. Familiari, anche se sconosciute. I gesti di quelle persone erano i miei. Gesti di cura, occhi di speranza, sospiri di paura, gambe stanche, sorrisi resistenti e tenaci.

C’era un signore, dall’aspetto un po’ buffo ma dai modi gentili, che ha ricevuto in quelle mie ore vuote, e così piena di attesa, la visita di un suo amico di infanzia.
Io ero seduta poco distante da loro e ho ascoltato, visto e gustato tutto il loro incontro, come se fosse un film proiettato per me. Una proiezione privata, inibita ad estranei ma che ho rubato senza essere vista.
Le loro mani, unite e le parole come liquidi abbracci che passavano da una bocca dell’uno all’ascolto dell’altro.

I racconti sui reciproci figli, sulle vite che si sono moltiplicate attorno a loro, qualche polpastrello che cercava su uno schermo le foto di sorrisi e bambini che non conoscevano ancora. Il paziente, tra i due, in quei lunghi minuti di intime parole, ha riso molto, ha ricordato aneddoti passati, non senza commozione. Ha intrapreso, con quella visita, una nuova guarigione. Il dialetto tra loro, sonoro e talvolta stretto, mai scandito, era un codice segreto di vita trascorsa insieme, era il segno tangibile e musicale di una radice comune che li teneva uniti. 

Non può esistere una vita senza amore, questo era chiaro ai miei occhi. Non esiste vita che non appartenga, in piccola parte ad una altra persona, con la quale questa si è toccata, si tocca ancora e per la quale conta. Questo ho pensato vedendoli.

Le amicizie e gli amori che proviamo ci accompagnano in momenti difficili, sorridono dei nostri sorrisi, si stringono quando abbiamo bisogno di sostegno. Non cambiano negli anni, né tra le generazioni. Gli amori e gli amici sinceri si somigliano tutti un po’, giovani o canuti, digitali o abituati alle missive cartacee, sono gli uni uguali agli altri. Come le vite che casualmente incontriamo in una stanza di ospedale, in un caldo pomeriggio di maggio. Dovremmo ricordarci di più e molto più spesso quanta somiglianza leghi gli uni agli altri in questo nostro piccolo pezzo di mondo.

Rapita da questi pensieri il mio pensiero è volato via e ha riempito l’attesa di quelle ore. All’improvviso tu sei uscito dalla sala operatoria, con il tuo affascinante sorriso di sempre, maledettamente bello.

Solo l’amore può salvarci.


Dipinto "Amicizia" di P. Picasso, 1908

giovedì 5 aprile 2018




Aprile 2018
Questo il nostro Gesù. Il tuo sarà ancora più bello.




Il mio Don, che si chiama Giovanni, mi ha chiesto di scrivere a mio figlio una lettera che gli consegnerò il giorno della sua prima Comunione.
Mi ha detto che questo sarà il mio regalo più bello, se saprò raccontargli  davvero chi è Gesù per me.

"Amato figlio mio,
questa lettera nasce da un richiamo, esterno rispetto a noi due, ad una riflessione su cosa rappresenti Gesù nella mia vita.

Tu conosci Gesù da sempre, lo abbiamo descritto, chiamato e immaginato tante volte insieme, soprattutto di sera, soprattutto a letto. Ricordo che quando stava per nascere tuo fratello, quando era ancora nella mia pancia, mi hai chiesto se lui fosse un miracolo di Gesù. Avevi solo 3 anni. Io mi sono commossa, perchè ho sempre ritenuto che voi foste i nostri miracoli e sentirlo dire dalle tue piccole labbra mi ha emozionata.
E poi, quando il tuo fratellino era già rumorosamente fuori da me, mentre in un pomeriggio di estate piangeva quasi ininterrottamente, mi hai bisbigliato che forse non era stato proprio Gesù a fare quel miracolo perché, se cosi fosse, non avrebbe pianto così tanto.

Negli ultimi anni abbiamo imparato a pregare insieme, un pò a modo nostro. La nostra preghiera somiglia piuttosto ad un bilancio quotidiano su quello che abbiamo vissuto, alla ricerca delle cose belle che ogni giorno ci porta. Trovare la bellezza in ogni singolo momento per noi ha iniziato ad equivalere a cercare Gesù intorno a noi. La preghiera del "grazie" è diventato quasi un gioco, come la caccia al tesoro.

Abbiamo sempre parlato di Gesù in senso positivo, legandolo ad eventi belli, a sensazioni di gioia, a doni speciali (l'essere fratelli, l'essere genitori, avere i nonni, conoscere amici nuovi).
Oggi però vorrei parlarti di un Gesù diverso, che è quello che abita nel mio cuore di persona grande, di mamma o di papà. Il mio Gesù si è manifestato a me in tanti modi, alcuni eclatanti e spettacolari, altri silenziosi e pigri.

Di quando siete nati tu e tuo fratello ti ho già raccontato, ma non ti ho detto che le prime notti trascorse con te e con lui, teneri cuccioli accanto a me, sono tra le notti più belle della mia vita. Concepire di aver "realizzato" una cosa così bella come un figlio è in assoluto il sentimento più profondo, abissale e interiore che una donna e un uomo possono concepire nella loro esistenza. In quel momento Gesù era accanto a me, a dirmi che ero stata proprio brava e a cancellare, senza che me ne accorgessi, con le mie stesse lacrime la paura di non essere all'altezza di un compito così sconosciuto. L'indomani mi sono risvegliata con una energia talmente "estranea" alle mie titubanze che ho subito compreso che fosse un Suo regalo per me.

Ho creduto di "sentire" Gesù anche la prima volta che ho incontrato tuo padre. Lo ho raccontato spesso a voi. Questo aneddoto mi ha regalato l'epiteto di romanticona tra quasi tutte le mie amiche. Ho compreso, vedendo il suo viso, che quel ragazzo sarebbe stato accanto a me per tanti anni, diventando il mio compagno di strada preferito. Lo chiamiamo "amore", e amore è. Non avevo nemmeno la più piccola idea di quello che insieme avremmo percorso e generato, eppure sentivo profondamente che ci fossimo incontrati per amarci. Gesù in quei momenti mi ha sussurrato di seguire quello che provavo e di affrontare qualche montagna inevitabile che si prospettava davanti a noi, con la forza di crede in quello che sente.

E poi ci sono stati alcuni momenti, più difficili, in cui ho scoperto un Gesù diverso, più umano, capace di comprendere le mie difficoltà, di aiutarmi in momenti che apparivano pesanti. Ci sono giorni di ogni vita in cui Gesù appare lontano, quasi assente. Questo penso che accada perchè il dolore ci dissocia dalla vita, ci rende fragili e ci orienta verso la solitudine. Talvolta però proprio nel dolore, nel vuoto, nel silenzio e nell'ascolto delle nostre paure, troviamo la semplicità di una fiducia priva di esigenze, di richieste, di aspettative. La fiducia in un Padre che ci ama e che ci aiuta a trovare in lui ogni risposta, anche quella che la nostra mente finita e saccente fatica a comprendere.
Gesù, in quei giorni, non è stato mai assente per me, mi ha solo atteso, lasciando che la scelta di ritrovarlo nel mio cuore fosse mia, sentita e sincera.

Troverai nella tua strada di piccolo grande uomo tante persone che con gli occhi, i comportamenti, con le mani e gambe, con le parole e la vita quotidiana, ti insegneranno che Gesù vive in ognuno di loro. Sapessi quante persone mi hanno rilevato un pezzetto del mio Gesù. In ogni uomo che incontrerai c'è un seme di divino, non dimenticarlo mai. Ama ogni persona per quello che quel seme saprà portare nella tua vita e dimentica, quando ti capiteranno, le delusioni causate da chi hai intorno. Noi uomini portiamo un pezzo di Gesù ma non siamo come lui. Sbagliamo infinite volte.
Troverai però anche persone che ti diranno che Gesù non esiste, che non è vero niente di quello che senti. Ascoltali e cerca di comprendere sempre cosa li ha allontanati dal centro del proprio cuore, in modo da poter rispettare il loro dolore e la loro scelta, senza distrarre la tua.

Per ultimo, ti vorrei dire che Gesù talvolta ha altri nomi, per altre persone, ha altre storie, ha altri libri o altre chiese. Ma posso assicurarti che è sempre Lui, lo stesso che ti appresti ad accogliere nel tuo cuore in questo giorno speciale della Prima Comunione con Lui.

Sarai bravo a riconoscerlo sempre, perchè la preghiera del Grazie è una preghiera universale e tutti gli uomini del mondo cercano la bellezza, la gioia e l'amore nelle loro piccole vite.

Il tuo Gesù, quel seme che tu porterai dentro te è solo tuo, curalo e nutrilo sempre. Anche la visita in chiesa, così pesante alle volte, se protratta con costanza e ritmo diventerà un momento di cui avrai bisogno.
Gesù saprà moltiplicarsi intorno a te come ha fatto con me e con tuo padre.
Con amore immenso,
Mamma"


venerdì 16 marzo 2018



Il tempo senza te, lo spazio tra noi.
Le illusioni che non ci riguardano. 
(un fugace incontro a Roma, tra fratelli)
Marzo 2018


Che il tempo e lo spazio possano non esistere davvero, ma solo essere il frutto del nostro costruire sociale, ho avuto il sospetto. Numerose volte.

Altre volte ne ho avuto la conferma.

Oggi ad esempio, quando ti ho incontrato in quella stazione, affollatissima.
Tante persone intorno a te ma la tua luce è giunta ai miei occhi, forando lo spazio. Eri ancora lontano ma eri già tra le mie braccia, stretta.
Non esisteva altra materia oltre noi in quell’abbraccio che mi hai regalato, era lo stesso identico momento del passato, ogni volta che ci siamo incontrati. Ogni volta che abbiamo camminato accanto. Non era passato tutto questo tempo lontani, non era trascorso nessun dolore.

E poi così nelle tue parole, quelle venute dopo.
E poi così nei tuoi racconti di vita e nelle tue risate, scoppiate in un cielo romano, perlato di pioggia e commosso per il nostro incontro.
E poi così in tutti i tuoi gesti lenti, non c’era niente che io non conoscessi già.

Non vedo il tuo vivere quotidiano, non sono con te con il mio corpo quando respiri, annaspi, gioisci, sogni. Non sono lì, lo spazio tra noi è tanto. Ma ho avuto conferma che questo non ha mai creato distanza tra noi. Perché dentro a ogni cosa, la linfa che scorre in te ha la stessa composizione della mia, siamo cresciute nella stessa fertile terra che ci ha generato e di cui portiamo in custodia il primo essenziale ricordo. Dentro a quel terreno, che ci è rimasto attaccato addosso, sulla pelle ha creato pieghe ed espressioni, c'è tutto quello che dobbiamo sapere.

Questo spazio tra me e te non esiste, il tempo non lascia segni, tra noi.


Accadono cose nella mia vita che sono miracolose, e il sentimento che c'è tra noi appartiene a queste. 

Lo racconterò a tuo figlio, sin da subito, che l'amore che lo ha generato, eternamente, oltre lo spazio e il tempo, vive.

Lo devi leggere (7) Esistono libri per curare la nostalgia. A casa di Judith Hermann, Fazi Editore   “Questo mondo è il mio mondo perché mi ...