martedì 29 maggio 2018

L'attesa che riempie 
maggio 2018




A chi non è capitato di finire in un corridoio bianco, asettico, freddo di un ospedale aspettando che qualcuno che si ama superi un momento di sofferenza e malattia?
Quei passi, continui, uno dietro l’altro che all’improvviso ti mettono davanti alle tue paure, ti spingono verso la parte più fragile di te stesso, quelle ore lunghe e vuote che ritrovi a vivere dopo tanti, troppi mesi di corse e rumore.
Oggi è capitato a me. Aspettavo te.

Ero lì, senza impegni, senza scudo. Il cellulare che taceva, la vita fuori che correva senza di me, senza di noi, egoista e bellissima. Tu dentro quella sala e un pezzo di me tra le tue mani e sulle tue labbra.

E accanto a me altre attese, altre vite così spaventosamente simili alla mia. Familiari, anche se sconosciute. I gesti di quelle persone erano i miei. Gesti di cura, occhi di speranza, sospiri di paura, gambe stanche, sorrisi resistenti e tenaci.

C’era un signore, dall’aspetto un po’ buffo ma dai modi gentili, che ha ricevuto in quelle mie ore vuote, e così piena di attesa, la visita di un suo amico di infanzia.
Io ero seduta poco distante da loro e ho ascoltato, visto e gustato tutto il loro incontro, come se fosse un film proiettato per me. Una proiezione privata, inibita ad estranei ma che ho rubato senza essere vista.
Le loro mani, unite e le parole come liquidi abbracci che passavano da una bocca dell’uno all’ascolto dell’altro.

I racconti sui reciproci figli, sulle vite che si sono moltiplicate attorno a loro, qualche polpastrello che cercava su uno schermo le foto di sorrisi e bambini che non conoscevano ancora. Il paziente, tra i due, in quei lunghi minuti di intime parole, ha riso molto, ha ricordato aneddoti passati, non senza commozione. Ha intrapreso, con quella visita, una nuova guarigione. Il dialetto tra loro, sonoro e talvolta stretto, mai scandito, era un codice segreto di vita trascorsa insieme, era il segno tangibile e musicale di una radice comune che li teneva uniti. 

Non può esistere una vita senza amore, questo era chiaro ai miei occhi. Non esiste vita che non appartenga, in piccola parte ad una altra persona, con la quale questa si è toccata, si tocca ancora e per la quale conta. Questo ho pensato vedendoli.

Le amicizie e gli amori che proviamo ci accompagnano in momenti difficili, sorridono dei nostri sorrisi, si stringono quando abbiamo bisogno di sostegno. Non cambiano negli anni, né tra le generazioni. Gli amori e gli amici sinceri si somigliano tutti un po’, giovani o canuti, digitali o abituati alle missive cartacee, sono gli uni uguali agli altri. Come le vite che casualmente incontriamo in una stanza di ospedale, in un caldo pomeriggio di maggio. Dovremmo ricordarci di più e molto più spesso quanta somiglianza leghi gli uni agli altri in questo nostro piccolo pezzo di mondo.

Rapita da questi pensieri il mio pensiero è volato via e ha riempito l’attesa di quelle ore. All’improvviso tu sei uscito dalla sala operatoria, con il tuo affascinante sorriso di sempre, maledettamente bello.

Solo l’amore può salvarci.


Dipinto "Amicizia" di P. Picasso, 1908

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