lunedì 24 ottobre 2022




La fine di questo sentiero coincide con l'inizio della vostra strada

Agli amati cresimandi

22 ottobre 2022

 

 

Cari ragazzi, 

 

noi catechiste vi parliamo tanto di comunità e di servizio ma, guardandoci bene e a fondo, ponendo lo sguardo nelle nostre vite e nei nostri cuori, capiamo che anche noi, come voi, cerchiamo quotidianamente una strada per essere veri testimoni della Parola e della vita in Gesù. 

 

Forse a voi potremmo apparire stabili e sicure nel nostro servizio, ma non è così. Anche noi ci mettiamo in ascolto di una chiamata, proviamo a superare i nostri limiti, la nostra pigrizia fisica e mentale, tentiamo sempre di uscire dalla nostra zona sicura per incontrare il prossimo. 

 

Questi anni di catechismo per tutte noi sono state un percorso di fede, non sempre credevamo di avere le energie per essere buoni esempi per voi (e chissà quante volte non ci siamo riuscite pienamente), non sempre avevamo quella gioia di cui tanto abbiamo parlato con voi. 

 

Ci abbiamo provato, e per questo dobbiamo anche e soprattutto ringraziare voi, perchè il Signore ha messo ciascuno di voi sulla nostra strada per spingerci a vivere il Vangelo. Vi ricordate perché abbiamo scritto i vostri nomi sulla catena che oggi abbiamo presentato? Ciascuno di voi è speciale per Gesù e per noi ciascuno di voi è stato un dono bellissimo e una occasione di vivere in Gesù. 

I vostri volti, i vostri sorrisi e le vostre storie sono il senso di quello che abbiamo vissuto insieme.

 

Come capita a voi, anche ciascuna di noi vive e vede la comunità in senso diverso, a modo suo. Ma tutte abbiamo scoperto in questi anni la nostra amicizia in Gesù, sentirsi fratelli e sorelle, anche quando non condividiamo molto della vita quotidiana perchè Gesù è il Padre Nostro, come nella preghiera che recitiamo sempre insieme

 

Voi potrete vivere la comunità nel modo che riterrete più giusto per voi, partendo dalla vostra famiglia (che è il prossimo più vicino), gli amici della vita, gli ambienti della scuola che poi diventeranno quelli del lavoro, e verso tutte quelle persone che incontrerete nella strada. Esistono tante associazioni dove il vostro aiuto sarebbe prezioso, tanti servizi di cui la Parrocchia vive, tanti ruoli diversi che potrete interpretare. 

 

Alle volte vi sentirete sconfortati, altre volte più forti e gioiosi, ma Gesù sarà sempre con voi, sentirete che dentro al vostro cuore c'è sempre e sempre ci sarà una ricerca incessante per quello che è buono e bello. 

Quella fiamma che avete dentro è il divino che è in voi e non si spegnerà mai. 

Ogni incontro che farete da oggi in poi sarà una occasione per donare e ricevere, sempre. 


Offrite la vostra vita e ne riceverete in cambio gioia e amore.


Noi vi affideremo al Suo Consiglio per trovare quella Fortezza che ci sostiene.


Un forte abbraccio dalle vostre Catechiste.




martedì 19 luglio 2022




Lo devi leggere (5)


Sulla fede.

Sulla fiducia.

Sulla felicità.

 

 

"Amatissimi" di Cara Wall

 


 

Il titolo di questo libro mi ha subito catturata.

 

I superlativi assoluti sono sempre idealizzati, carichi di aspettative e molto ambiti.

 

L’immagine, poi, ha colto nel segno, considerando che il dipinto che presenta l’edizione italiana del libro è di Edward Hopper, il pittore che ha raccontato, con una vena realista e a tratti ipnotica, la solitudine della vita americana del XX secolo, dello stile di vita delle città e dell’abisso delle individualità umane. Il suo più celebre dipinto è Nighthawk, i Nottambuli, che ritrae 4 persone in un bar di Manhattan, in una città deserta e buia, che si ritrovano, ciascuno con il proprio mondo interiore, a condividere uno spazio di luce comune.

 

Bene, il dipinto di Hopper scelto per questo libro è ambientato in una stanza di New York, dove un uomo ed una donna trascorrono il tempo insieme pur rimanendo ciascuno impegnato nella sua attività, la lettura di un libro e di un giornale.

 

Il romanzo racconta, in una prosa coinvolgente, cinematografica e quieta, questa scena: la necessità di stare insieme, di credere, di condividere nonostante la consapevolezza di differenze enormi tra le persone, tra le storie passate che ciascuno porta addosso, tra gli sguardi verso il futuro.


Racconta di come la vita ci chiami ad impegnarci, nelle relazioni, nel lavoro, nei ruoli che rivestiamo e di quanto la qualità di questo impegno derivi dal rispetto e dall’amore che proviamo per noi stessi mentre viviamo.

 

Ci sono due coppie, due uomini e due donne: Charles e Lily, James e Nan.

 

Charles è un ragazzo che, opponendosi alle aspettative paterne, lascia il mondo della scienza e dello studio illuminato per studiare teologia e diventare pastore di Dio. Ha da sempre sentito nella sua vita l’impronta di un Creatore, la sua è una fede pura e compatta. Anche quando incontra Lily, ragazza ostile, ostinata, indipendente, non credente e apparentemente dura, che serba un dolore antico per la perdita dei suoi genitori, per Charles è tutto chiaro: l’amore per quella donna rientra nel disegno che Dio ha per lui e la corteggia senza indugi, la sposa e la conduce con sé. 

Lei si innamora dell’uomo, non del pastore - come dice lei stessa - e lo segue, pur carica di sospetto e muri interiori.

Inizia per loro un rapporto di coppia che è insieme onesto, maturo, proprio perché nato dalla consapevolezza di una diversità di fondo dei propri credo e dei propri sguardi (di cui a dire il vero non parlano mai), ma anche irrisolto e monco, proprio a causa della stessa distante visuale e della difficoltà di comunicare nel profondo.

 

E poi c’è James, un ragazzo dalle origini umili che sente dentro di sé il bisogno di agire per un mondo più equo e solidale, di lasciare il segno, di sostenere le persone più deboli e svantaggiate e, quando si innamora di Nan, figlia di un pastore, dalla vita chiara e trasparente e fin troppo perfetta, decide di diventare pastore anche lui, nonostante la sua vocazione non sia aulica o visionaria ma concreta, inquieta e tutta umana. Nan lo seguirà anche lei ma proprio in questa perfezione rarefatta vedrà con il tempo le crepe di una esistenza che dovrà ancora compiersi.

 

I quattro ragazzi diventano uomini e donne e ad un certo punto i due pastori vengono chiamati a condividere un ministero congiunto in una chiesa di New York, la Terza Chiesa Presbiteriana del Greenwich Village. Lì c’è tanto da fare e la Congregazione ha bisogno proprio delle due vocazioni di Charles e James: di un pastore che predichi, che rassicuri sull’esistenza di Dio e sui suoi segni, che ascolti le confessioni e le storie dei parrochiani e di un altro che agisca, che permei nei quartieri poveri e malfamati di New York, che includa le storie difficili che non tutti vogliono ascoltare. 

 

Il romanzo racconta di come quattro persone così diverse possano vivere insieme, a due a due come coppie, in quattro come amici e dentro una comunità più estesa come chiesa. 


Racconta di quanto tempo ci sia bisogno per accettare che le differenze tra noi e gli altri non sempre ci allontano ma più spesso arricchiscono il nostro sguardo, di quanto l’amore non si fondi sempre sullo stesso credo ma sul bene reciproco, sulla ricerca di un posto dove la nostra esistenza acquisti valore.

 

Le coppie poi diventeranno famiglie e il cerchio delle relazioni si allargherà a nuove vite, che, racconta la Wall, spesso diventano la risposta a interrogativi antichi sulle nostre esistenze. 

 

I figli, come tutti gli altri ma più evidentemente degli altri, non sono come noi, non sono sempre come li immaginiamo ma il loro arrivo diventa una opportunità, forse quella più importante, per uscire dal nostro muro interiore e accettare l’altro, la vita e avere fiducia nel mondo.


La fede si trasforma in fiducia e al lettore pare che Dio agisca attraverso gli uomini, attraverso la loro quotidiana responsabilità.

 

Questo è un romanzo sulla fede, sulla fiducia, sull’amicizia e sull’impegno.

 

La preghiera, come l’amore d'altronde, diventa più grande se ci si impegna quotidianamente in essa.

 

L’amicizia pure, quando è dono, non teme rivalità né gelosia.

 

I quattro personaggi si mescoleranno, si scambieranno le pelli: i più forti in apparenza, Charles e Nan vedranno gli abissi prima sconosciuti e incomprensibili mentre gli inquieti James e Lily intravedranno strade che prima erano ignote, troveranno soluzioni per se stessi e per gli altri.

 

La scelta del dipinto di Hopper è geniale anche in questo, perché nello stesso quadro c’è a destra un libro, che forse rappresenta la storia, il passato, le radici, le fondamenta di ciascuno di noi, e a sinistra un giornale, che rappresenta l’oggi, la vita che si consuma, l’impegno quotidiano. La sfida è porre in dialogo questi due mondi, il nostro passato con il nostro presente, i dolori di ieri con quelli di oggi.

 

Mi porto dentro, di questa lettura, l’idea che quello che nutriamo in noi diventi poi nutrimento esterno, la parte di noi che curiamo di più divenga il simbolo di ciò che anche gli altri vedono in noi ed infine quello che neghiamo a noi stessi si trasformi in muro e negazione verso chi è intorno a noi.

 

L’importanza di partire dall’amare se stessi per poter imparare ad amare gli altri.

 

Amatissimi, esordio di eccezione, da leggere certamente.

 

 

 

 

giovedì 9 giugno 2022









Il grazie che non vi ho detto a voce e le risposte che non ho saputo darvi


9 giugno 2022



 

Ai miei studenti, che ho avuto la fortuna di incontrare, scrivo questo pensiero di fine anno.


Scrivo pensando a ciascuno di voi, provando ad immaginare i vostri volti quando leggerete queste parole. 


Ho in mente gli occhi lucidi e che riflettono una energia profonda di Kennedy. Lo sguardo timido ma gentile di Francesco. Ho in mente la curiosità di Andrea e la sua maturità, lo sguardo lontano ed insieme in ascolto di Nicolas, l’inquietudine perfetta di Jude.


Ho in mente voi, uno ad uno. Vorrei ringraziarvi per questo anno vissuto insieme. Se è vero che le parole diventano pensieri, e poi azioni, e poi abitudini, e le abitudini formano le persone, allora in me esiste una parte di voi. Il nostro mercoledì sera è diventata la mia abitudine per un lungo anno solare e del primo senza di voi me ne sono accorta. 


Grazie perché in questi mesi di scuola avete provato, ciascuno nella misura in cui ha potuto, ad osservare il mondo dalla prospettiva che vi ho raccontato. 


So che adesso il diritto per voi non è più un insieme di norme, di parole difficili accostate le une alle altre in corposi e noiosissimi testi. Il diritto è diventato uno strumento, al pari di una forchetta, di una chitarra o di una motocicletta, per assaggiare il gusto di essere cittadini, suonare forte il senso di un diritto o di un dovere, o godersi in passeggiata scenari di vivere sociale organizzato e soprattutto giusto.


La più bella domanda che mi avete posto, quella a cui non ho saputo rispondere, mi è stata fatta a metà anno da quello che tra voi non parla ancora perfettamente l’italiano e che mi ha chiesto, a voce bassa: come facciamo a sapere cosa è giusto?


Non ho saputo rispondere, come ho ammesso con voi e di questa incapacità espressa resto molto convinta anche oggi: la ricerca della risposta è dentro alla vita che conduciamo e che voi condurrete, lastricata di felicità, di dolori, di incontri, di scelte, di accadimenti e di desideri. 


Avete ereditato un mondo in cui la giustizia è senz’altro presente (quale giustizia?, in quale grado o in quali luoghi?) e gli educatori, i genitori, gli insegnanti vi insegnano che essa è tutta nelle regole, nel loro rispetto, nelle norme di convivenza sociale, di distribuzione delle risorse.

Eppure dovremmo dirvi che la giustizia, il senso di giustizia è anche e soprattutto dentro di noi, dentro di voi. Risiede in un innato desiderio che l’uomo ha di consentire la realizzazione collettiva, di agevolare la condivisione del benessere e di assicurare lo sviluppo personale e sociale. 


Vi ricordate uno dei passi più belli della Costituzione Italiana che abbiamo letto insieme come fosse un testo poetico? “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…” 

Avevamo tanto sottolineato la bellezza di guardare contemporaneamente alle singole persone e anche ai contesti sociali dove proprio quelle persone sono inserite. Avevamo trovato in questo sguardo del legislatore un modo nuovo, civile, giusto di osservare il mondo e il nostro Paese. 


E ancora… "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La danza tra l’uomo, l'individuo o meglio la persona da un lato e la società, il mondo, il contesto in cui quell’uomo opera dall’altro, è quello che vorrei che voi portaste nel vostro zaino per gli anni che verranno.


Non dimenticate mai chi siete, le scelte di vita che farete sappiano sempre rispettare i vostri desideri, i vostri talenti e possano sempre donarvi energia e gioia. Se non partite da voi, se non puntate al centro del vostro cuore il perno del vostro raggio di azione, non esisterà mai alcuna giustizia fuori, alcuna realizzazione sincera, alcuna società felice.


Non lasciate che agenti esterni al vostro sentire condizionino le scelte importanti, perché si diventa incapaci di rispettare gli altri quando non si è imparato prima a rispettare se stessi.

Solo così i contesti sociali in cui vivrete saranno più ricchi e giusti, nella misura in cui godranno della vostra luce. 


Aristotele diceva che “Quando si è amici, non c'è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti, c'è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia.” La giustizia è sempre un prodotto dell’uomo e delle sue imperfezioni e limitatezze ne risente sempre. Eppure in ciascuno di noi c’è un seme di divino, in ciascuno di voi c’è un pezzo di eterno. Quel sentimento nutrirà il senso più intimo di giustizia e vi orienterà nelle scelte migliori per voi e per gli altri. 

Quel sentimento si chiama amicizia e ci consente di spostare l’attenzione da noi stessi verso gli altri, mossi da una necessità di completamento.

Così facendo, la giustizia umana diventerà migliore, arricchendosi delle qualità delle persone che la progetteranno.


Insieme. Voi.

Buona estate, grazie per ogni mercoledì sera trascorso insieme.



La prof. di diritto




mercoledì 27 aprile 2022




Nostro eppur non ci appartieni

(27 aprile 2022)

 

Sono 10 anni che ti guardiamo,

che ci innamoriamo di te,

che ci insegni la forza di essere chi sei.

 

Sono 10 anni che ti teniamo la mano 

E che proviamo a lasciartela, quando corri.

 

Sono 10 anni che preghiamo per la tua vita,

che ringraziamo perché ci sei,

che festeggiamo ogni mattina quando apri gli occhi e ci guardi.

 

Sono 10 anni che ridi,

ogni giorno ci insegni qualcosa,

ci mostri l’energia del pensiero profondo,

la forza del corpo che lo conserva,

la bellezza delle parole, le tue, che lo esprimono.

 

Vai amore,

ti osserviamo di qui,

sei la storia che desideriamo vedere e leggere,

dovunque andrai.

martedì 22 marzo 2022

(Im)potenza, potere, possibilità

(Fare qualcosa con quello che si ha)

marzo 2022





Quasi tutte le persone che incontro e con cui parlo della guerra, del momento triste, angosciato e difficile che viviamo, mi raccontano, ciascuna a modo suo, del loro sentimento di impotenza.

Di una “assoluta e avvilente assenza delle normali o necessarie capacità” di cui un essere umano è o dovrebbe essere in possesso.

Per qualcuno questa impotenza si traduce in angoscia, in turbe notturne e sospiri diurni. 

Per altri in rabbia e incapacità di vivere con gioia il proprio presente. 

Per altri ancora in assenza di reazione.

E poi c’è chi prova a porre tra se stesso e le notizie di bombardamenti e sirene, tra i propri occhi e le immagini dei civili in fuga, feriti, uccisi, tra la propria vita e quella degli altri una distanza di salvataggio, un distanza “sociale” a cui una odiosa pandemia ci ha abituato e che per mesi è apparsa l’unica via di salvezza.

Quando non si può fare niente, pensiamo, è meglio non fare nulla.

Questa guerra, il cui racconto è diventato ora mediatico e virale, è qualcosa che possiamo solo ascoltare, subire e accettare.

Eppure siamo noi che viviamo questo mondo che subiamo, siamo noi che ascoltiamo, siamo noi dall’altra parte. Ci sentiamo impotenti, ma siamo vivi.

Siamo noi che lavoriamo, tutti i giorni e per la maggior parte dei giorni della nostra vita. 

Noi che desideriamo essere persone in grado di partecipare e di incidere nella società in cui siamo immersi.

Siamo noi, sempre noi. Quelli che disegniamo sin da bambini il nostro futuro, scegliendo percorsi, amicizie, valori, esempi.

Siamo noi che cerchiamo di completare la nostra felicità cercando qualcuno da amare.

Siamo noi che, quando incontriamo le montagne invalicabili della nostra vita, sfoderiamo forze che ritenevamo impossibili, sovraumane e potenti.

Siamo noi che, nel corso del tempo che ci viene regalato, impariamo a correggere gli errori commessi, a ritrovare le strade smarrite, a solcare percorsi nuovi e inauditi.

Siamo noi che impariamo a lottare, a non dormire, a perdonare, a rimediare, ad affidarci agli altri, a condurre chi ha bisogno di noi.

Siamo impotenti? Cosa possiamo fare?

Nessuno ha una risposta. Io non ho una risposta.

Ma io ho le mie mani, il mio cuore e la mia testa.

Tutti hanno le mani, il cuore e la testa.

Il cuore, il primo che pulsa, ci fa pregare. Perché sentiamo, profondamente e a livelli di coscienza differenti, che esiste qualcosa che non tocchiamo, qualcuno che non vediamo, una realtà che va aldilà della nostra comprensione. Il cuore ci fa percepire l’esistenza di un universo di cui siamo parte e ci apre ad accogliere gli altri, a fare nostre le loro paure, le loro battaglie.

Le mani, quelle che non riusciamo a tenere ferme, ci fanno prendere il buono di quello che abbiamo intorno, ci fanno costruire case, ci fanno riassettare i letti dove ogni cuore deve riposare, ci fanno preparare pasti per nutrire i corpi. Abbracciare i corpi di chi ha paura. 

Il cuore ci rende grati quando quelle case, quei letti, quei pasti li preparano altri per noi.

Le mani prendono altre mani, salvano chi annega. 

Le mani afferrano chi ci salva.

Prendono e lasciano.

La testa ci fa pensare, ci chiede il tempo per muovere le mani e orientare il cuore, è una bussola che ci indirizza quando dobbiamo reagire, quando dobbiamo dialogare con chi è contro di noi, quando dobbiamo spiegare le nostre ragioni e provare a comprendere quelle degli altri.

La testa ci dice che non dobbiamo essere presuntuosi nel prevedere le verità che riguardano il mondo e noi. Non possiamo svegliarci al mattino e sentenziare che non sarà un giorno importante per noi, per gli altri. 

Possiamo fare tutto o niente, partendo dalle nostre vite.

Siamo tutti sconfitti a metà quando qualcuno muore a causa di una guerra.

L'impotenza non è mai totale al pari della potenza, c'è sempre qualcosa ancora possibile. Ogni parola vale, ogni gesto produce energia, ogni istante è essenziale quando comprendiamo che la nostra vita è adesso.

Questo è il tempo per vivere nel modo migliore le nostre vite, provando ad essere la migliore versione di noi stessi. Costruendo la pace nel nostro piccolo mondo. 

Pregando che questo sentimento contagi l’universo, curando le ferite inferte.

Accogliendo.

Preparando.

Correndo.

Lavorando.

Parlando di pace.

Raccontando la pace.

Vivendo la pace.

Scrivendo la pace.

Credendola possibile.

Amando.






Veglia (Giuseppe Ungaretti)

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita



Lo devi leggere (7) Esistono libri per curare la nostalgia. A casa di Judith Hermann, Fazi Editore   “Questo mondo è il mio mondo perché mi ...