giovedì 9 giugno 2022









Il grazie che non vi ho detto a voce e le risposte che non ho saputo darvi


9 giugno 2022



 

Ai miei studenti, che ho avuto la fortuna di incontrare, scrivo questo pensiero di fine anno.


Scrivo pensando a ciascuno di voi, provando ad immaginare i vostri volti quando leggerete queste parole. 


Ho in mente gli occhi lucidi e che riflettono una energia profonda di Kennedy. Lo sguardo timido ma gentile di Francesco. Ho in mente la curiosità di Andrea e la sua maturità, lo sguardo lontano ed insieme in ascolto di Nicolas, l’inquietudine perfetta di Jude.


Ho in mente voi, uno ad uno. Vorrei ringraziarvi per questo anno vissuto insieme. Se è vero che le parole diventano pensieri, e poi azioni, e poi abitudini, e le abitudini formano le persone, allora in me esiste una parte di voi. Il nostro mercoledì sera è diventata la mia abitudine per un lungo anno solare e del primo senza di voi me ne sono accorta. 


Grazie perché in questi mesi di scuola avete provato, ciascuno nella misura in cui ha potuto, ad osservare il mondo dalla prospettiva che vi ho raccontato. 


So che adesso il diritto per voi non è più un insieme di norme, di parole difficili accostate le une alle altre in corposi e noiosissimi testi. Il diritto è diventato uno strumento, al pari di una forchetta, di una chitarra o di una motocicletta, per assaggiare il gusto di essere cittadini, suonare forte il senso di un diritto o di un dovere, o godersi in passeggiata scenari di vivere sociale organizzato e soprattutto giusto.


La più bella domanda che mi avete posto, quella a cui non ho saputo rispondere, mi è stata fatta a metà anno da quello che tra voi non parla ancora perfettamente l’italiano e che mi ha chiesto, a voce bassa: come facciamo a sapere cosa è giusto?


Non ho saputo rispondere, come ho ammesso con voi e di questa incapacità espressa resto molto convinta anche oggi: la ricerca della risposta è dentro alla vita che conduciamo e che voi condurrete, lastricata di felicità, di dolori, di incontri, di scelte, di accadimenti e di desideri. 


Avete ereditato un mondo in cui la giustizia è senz’altro presente (quale giustizia?, in quale grado o in quali luoghi?) e gli educatori, i genitori, gli insegnanti vi insegnano che essa è tutta nelle regole, nel loro rispetto, nelle norme di convivenza sociale, di distribuzione delle risorse.

Eppure dovremmo dirvi che la giustizia, il senso di giustizia è anche e soprattutto dentro di noi, dentro di voi. Risiede in un innato desiderio che l’uomo ha di consentire la realizzazione collettiva, di agevolare la condivisione del benessere e di assicurare lo sviluppo personale e sociale. 


Vi ricordate uno dei passi più belli della Costituzione Italiana che abbiamo letto insieme come fosse un testo poetico? “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…” 

Avevamo tanto sottolineato la bellezza di guardare contemporaneamente alle singole persone e anche ai contesti sociali dove proprio quelle persone sono inserite. Avevamo trovato in questo sguardo del legislatore un modo nuovo, civile, giusto di osservare il mondo e il nostro Paese. 


E ancora… "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La danza tra l’uomo, l'individuo o meglio la persona da un lato e la società, il mondo, il contesto in cui quell’uomo opera dall’altro, è quello che vorrei che voi portaste nel vostro zaino per gli anni che verranno.


Non dimenticate mai chi siete, le scelte di vita che farete sappiano sempre rispettare i vostri desideri, i vostri talenti e possano sempre donarvi energia e gioia. Se non partite da voi, se non puntate al centro del vostro cuore il perno del vostro raggio di azione, non esisterà mai alcuna giustizia fuori, alcuna realizzazione sincera, alcuna società felice.


Non lasciate che agenti esterni al vostro sentire condizionino le scelte importanti, perché si diventa incapaci di rispettare gli altri quando non si è imparato prima a rispettare se stessi.

Solo così i contesti sociali in cui vivrete saranno più ricchi e giusti, nella misura in cui godranno della vostra luce. 


Aristotele diceva che “Quando si è amici, non c'è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti, c'è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia.” La giustizia è sempre un prodotto dell’uomo e delle sue imperfezioni e limitatezze ne risente sempre. Eppure in ciascuno di noi c’è un seme di divino, in ciascuno di voi c’è un pezzo di eterno. Quel sentimento nutrirà il senso più intimo di giustizia e vi orienterà nelle scelte migliori per voi e per gli altri. 

Quel sentimento si chiama amicizia e ci consente di spostare l’attenzione da noi stessi verso gli altri, mossi da una necessità di completamento.

Così facendo, la giustizia umana diventerà migliore, arricchendosi delle qualità delle persone che la progetteranno.


Insieme. Voi.

Buona estate, grazie per ogni mercoledì sera trascorso insieme.



La prof. di diritto




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