martedì 8 dicembre 2020

 



La lezione di G. 

dicembre 2020

La scuola al tempo della DDI


La scuola digitale ed integrata non piace tanto, certamente non piace alla maggior parte dei docenti che io conosco. Sono in molti in grado, a dirla tutta, di apprezzare le funzioni delle piattaforme, il dilatamento dei tempi didattici sincroni e asincroni e le infinite risorse della rete.  Mancano loro però gli sguardi dei ragazzi, gli entusiasmi che solo la luce degli occhi rivela, la scomposta reazione dei loro gesti, i loro balbettii sinceri davanti alle domande a cui non sanno rispondere e la franca possibilità di conoscersi davvero. 

Se parlaste con un docente, intuireste subito questa mancanza, lo capireste da piccoli e brevi rimandi a quello che la Scuola prima del Covid regalava: la relazione quasi amorosa tra docente e discente e tra loro e il Sapere che tentano di offrire.

Eppure, come capita spesso, anche le situazioni meno facili (melius, soprattutto quelle), anche i percorsi che appaiono più tortuosi e complicati, anche quello che una persona non apprezza o non valorizza, ci regalano lezioni uniche e talvolta più importanti di quelli che riceveremmo in situazioni più piacevoli. 

Vi racconto la mia.

La mia strada quest’anno mi ha condotto ad un ragazzo speciale, che frequenta la scuola superiore e che, per un problema fisico, avrebbe bisogno di un sostegno nel percorso scolastico. In realtà questo quindicenne dalla mente acuta e raffinata, creatore di un sistema di memorizzazione ludico e grafico e in possesso di una profondità di analisi che favorisce la comprensione di ogni problema, è stato per me un dono inaspettato. Il mio tempo accanto a lui si è trasformato giorno dopo giorno da un tempo di insegnamento in un tempo di scambio e condivisione. Una vera fortuna per me, avendo così modo di osservare da vicino i metodi di studio dei giovanissimi studenti e di entrare nella vita di un ragazzo talentuoso.

Prima di incontrarlo avevo una idea delle nuove generazioni che era il frutto di quello che leggevo e che si dice in giro di loro. Immaginavo il loro tempo libero incollati a vari schermi. 

Quale tipo di manipolazione avevo subito per non attendere di conoscerli davvero prima di avere una considerazione di loro?

Martedì in DDI di una settimana uggiosa e fredda.  Fuori dalla classe vuota un grigiore incollato al cielo e alla aria intorno. Il prof di italiano, all’inizio di una ora difficile, la sesta, chiede a G. quali siano i suoi hobby, le passioni e le attività che più ama fare nel tempo libero.  G. zittisce, è in imbarazzo evidente. 

Richiamato dal prof, nel tentativo di creare un filo tra persone che lo schermo impedisce di "sentire", afferma di non avere particolari passioni, io gli siedo accanto e gesticolo qualcosa senza che i tanti collegati a lezione mi vedano. Lui elimina l’audio e mi guarda con i suoi occhi grandi e profondi. Perché, gli chiedo, non hai detto di quello che fai nel tuo tempo libero? 

Mi aveva raccontato il giorno prima che aveva trascorso le ore della domenica nell’oratorio della parrocchia ad aiutare i più piccoli, che dava una mano per l’ingresso in chiesa dei fedeli nel rispetto dei protocolli anti COVID. 

Perché, stavolta penso, la timidezza gli impedisce addirittura di raccontarlo dietro uno schermo? Abituati come sono, continuo a pensare, alla visibilità della rete, perchè non parlano di loro ad un prof sinceramente interessato?

Lui mi dice: è una cosa che faccio per aiutare gli altri, non certo per raccontarla.

Mi ha talmente colpito che mi sono pentita di aver insistito perché lo raccontasse. 

Stavolta, tra i due, il maestro è stato lui.





lunedì 8 giugno 2020

Gli scavi migliori

Ci siamo sentiti, in questi mesi, quasi tutti come esploratori. Un vento inaspettato, un'onda non attesa e un silenzio nuovo ci ha condotto a camminare in un territorio che non conosciamo, sebbene si estenda dentro di noi. Forse non tutti ma in tanti abbiamo ripreso tra le mani le storie del passato, della infanzia e della giovinezza, per trovare in quei ricordi le risorse interiori per accettare il presente, per riempirlo di senso.
I giorni della solitudine, della lontananza e della paura per un mondo ammalato hanno avuto però una melodia, almeno per me. Quella di un libro, raccolta di novelle moderne e al tempo stesso antiche, di una amica cara e di una penna affascinante, quella di Mara Tribuzio che, con la sola forza delle parole, mi ha condotto nei luoghi, nelle strade, nei paesi della mia Puglia. 

La poesia è la prima delle note che questo viaggio letterario regala, la poesia che deriva dal mito, dai racconti tramandati, dalla tradizione in senso etimologico, capace di passare da una mano all’altra. Quelle mani che non potevano più toccarsi sono diventate, grazie ai racconti pugliesi, trame di uno stesso disegno, capaci di consegnare una storia che ci appartiene e che regaliamo a coloro a cui essa apparterà.

Ci sono i suoni, tanti, tutti dentro questa immaginifica raccolta. I suoni della lingua, delle parole che il dialetto locale ha saputo coniare descrivendo sensazioni, stati dell’animo che altrimenti non verrebbero raccontati. Andrebbero persi, senza nome e forse finirebbero per non esistere più.

Ci sono i profumi, delle strade, delle cucine pugliesi, della pelle che scotta sotto il sole, degli ulivi secolari che là stanno, fermi. I profumi dei corpi che si amano, dei segreti che devastano, dei sogni che ispirano.

Non esiste letteratura senza umanità. E per una pugliese come me questo libro è un canto, che somiglia al suono amplificato dentro una cattedrale, ad un rito prezioso della domenica. Ma diventa una visione onirica per chiunque sappia lasciarsi trasportare dal filo che alterna immaginazione e realtà, tatto e olfatto, desiderio e accadimento.

Gli avvenimenti mi hanno avvicinato a questa lettura in questo tempo di interiorità imposta e solo oggi ne capisco la ragione: affinché fosse un sostegno ai ricordi, una pietra per sostenere la tenda da un vento forte, una finestra bellissima verso il mondo che amo.

Non esiste letteratura senza amicizia, quella che ogni lettore intesse con i personaggi, con i nomi e le storie che legge. Per me questo è stato il mio scavo migliore, capace di far tornare alla luce le vestigia di quello che ero e a a ricordarmi quello che sono. 

Perché la letteratura ti salva sempre. 
E l’amicizia anche.


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venerdì 13 marzo 2020

In attesa di rivedersi
(E. B.)

C’è un albero che si vede dalla mia finestra,
c’è da sempre e lo vedi sulla parte destra.

Della sua esistenza però mi sono accorto bene bene in questi giorni,
che sono bloccato in casa aspettando che a scuola si torni.

Ho notato degli uccellini che vanno sempre sui suoi rami a fare il nido:
sono carini, cinguettano sempre e a vederli io rido.

C’è anche una gazza con le penne nere
Che arriva a trovarli quasi tutte le sere!

Immagino che siano amici, tra loro, gli uccellini
e che si incontrino a giocare e per stare vicini.

Loro possono farlo, non come sta succedendo adesso,
che dobbiamo stare lontani e per uscire ci vuole un permesso.

Mi vengono in mente i pomeriggi trascorsi con parenti ed amici
a giocare a palla, parlare, rincorrerci o correre in bici.

Mi viene in mente la voglia che ho di stare ancora con loro
che sono della vita un vero tesoro

‘Passerà presto vedrai’, dice la mamma sorridendo,
‘Andrà tutto bene’ scrivo contento!

Un arcobaleno mi han detto di disegnare
ed ora sono qui tra pennelli e biro a pitturare.

Il tempo più lento che stiamo vivendo
qualcosa di buono capire ci sta facendo

Di quanto è preziosa la vita che viviamo,
davvero è il dono più bello che abbiamo.

Dobbiamo star bene tutti e difendere i più deboli tra noi
e ringraziare i medici ed infermieri che sono supereroi.

Aspettare di vederci e di ritrovarci insieme
darà un sapore più bello al giorno che viene.

Ci aiuterà a capire il bellissimo valore
di ogni piccola cosa, persino di un fiore.

E allora quell’albero che dalla finestra scorgo con occhi puri
diventa un simbolo di una nuova vita senza lati scuri,

dove la difficoltà se arriva e ci coglie impreparati,
presto viene superata con l’aiuto di tutti gli altri stati.

Il mondo è diviso in città paesi e nazioni e continenti,
ma sotto sotto siamo tutti fratelli, e tutti parenti.

‘Quello che ferisce te, ferisce me’
E questa è una nuova regola per me!

Lottiamo insieme stando a casa per un po,
e presto sono certo festeggeremo in pedalò

in spiaggia, in montagna, al lago e in città,
tutti insieme e nulla più ci preoccuperà!

‘Evviva evviva’ allora grideremo!
Più del virus paura non avremo!

Torneremo a vivere con qualcosa in più,
con l’amore per la vita e migliori virtù.





mercoledì 4 marzo 2020

L’amore circolare 
(anche ai tempi del Coronavirus)
4 marzo 2020


Giorni difficili.
Il coronavirus procede a collezionare vittime nel mondo, in Italia, intorno a noi, nella nostra regione. Tutti, chi con più paure chi con più coraggio, colpiti e strattonati da questo vento di instabilità, di incertezza quotidiana, di vacanza e vuoto dalle attività che di solito scandiscono la vita dei nostri bambini, dei nostri amici, degli anziani, di chi conosciamo.

Eppure tutto scorre, nello stesso identico modo di prima, con un nostalgico sguardo a quei giorni in cui godevamo della libertà di ogni movimento, degli abbracci, dei gesti di amore gratuiti eppure non sapevamo di quanta bellezza avessimo intorno. Ancora una volta ci ritroviamo ad apprezzare le cose perché (e quando) non le abbiamo più o perché (e quando) vengono messe in dubbio. 
E fatichiamo a ricordare cosa, della routine precedente, non ci piacesse, tanto bella pare ai nostri occhi.

Dentro a questi pensieri, immersa quasi in apnea, vengo riportata alla vita reale, quella che scorre a prescindere dalle epidemie, da una chiamata dei miei genitori, rimasti al sud nel mio paese natale, che mi racconta di un malore della mia mamma, nella notte. 
Il ricovero, “mamma sta bene”, le chiamate in attesa di saper cosa abbia avuto, “papà oggi stesso partiamo”, le valigie iniziate, “non partite, potreste poi portare il virus visto che dalle vostre parti c’è”, le valigie lasciate lì, “aspettiamo domani, vediamo come va”. E poi una operazione per impiantare un pace maker, “è andato tutto bene”, riunioni viawhatsapp con i fratelli per capire come fare, “Vi amo, anche se con un cuore che pare poco affidabile” dice la mamma. Alla fine uno di noi figli scende, quello che abita nel luogo meno vicino al virus per accudire la mamma. “Mamma raccogli tutte le tue cose che oggi esci”, siamo stati fortunati, pensi, è stata solo una piccola grande paura. Passata, arrivata e passata.

Le piccole tragedie personali dentro le tragedie collettive, è sempre stata cosi la vita, l’uomo dentro il mondo e le sue paure dentro quelle della gente.

E poi mi ritrovo qui, nella casa che abito da qualche mese, a chiedermi perché io non possa aiutare la mia mamma in questo momento, perché io non ci sia quando ha bisogno di me, perché abitiamo così lontano, perché si debba rinunciare a “fare i figli” nel modo in cui io vorrei esserlo, stando con loro quando hanno bisogno di me. Si infiltra nei pensieri una voce sottile, che mi segnala che l’aiuto che offrirei (dovrei offrire e piuttosto vorrei offrire se potessi) ai miei genitori e che di fatto nego loro è lo stesso che talvolta offro a chi ha bisogno, a chi non conosco bene eppure di cui mi interesso, a chi abita vicino a me. Mi sento in difetto, in colpa e le lacrime irrorano i miei occhi.

La lontananza la puoi accettare, con il tempo. Quello che fatichi ad accettare sempre è il bagaglio di mancanze che porta con sé, di eventi non vissuti, conquiste quotidiane non condivise, presenze non registrate, racconti non tramandati.

Poi delle parole mi abbracciano. Pronunciate dall’uomo che mi aiuta sempre quando sono in crisi, quello a cui riservo il mio amore più profondo e di una nuova amica, suor Katia, che frequento da un po’ e che vedo vicina a Dio più di me. Mi convincono, quelle parole, che l’amore è circolare.

Mi convincono che esistono carezze che non potrai offrire direttamente a chi le attende, esistono cure che non nasceranno direttamente dalle tue mani e baci che non potrai dare, toccando le guance di chi ami. Questo perché ci sono condizioni, eventi, distanze, scelte, rinunce che rendono impossibili, talvolta, la vicinanza tra persone che si amano. 

Mi convincono, quelle parole, che però l’amore non si limita a lasciarsi dare e a farsi ricevere nel modo bilaterale, chiuso e selettivo con cui noi uomini siamo abituati a concepirlo. L’amore è circolare, gira, si diffonde e si moltiplica, nasce da uno e arriva a tanti, promana in un luogo e si dirama altrove, lontano. Nella circolarità dell’amore accade che quelle carezze che oggi non posso dare alla mia mamma, quella presenza che non posso garantirle e che pure mi ferisce, si facciano vive presso di lei attraverso altre mani, attraverso il sorriso di altri volti, e attraverso il suono di voci che non sono la mia, pur avendo toni e dolcezza simile.

Mi convincono, quelle parole, che non siamo soli, nemmeno quando pensiamo di esserlo, esiste un cerchio, una circolarità di amore e sentimenti che ci toccano anche quando non pensiamo che ciò possa essere possibile.

Mi convincono, quelle parole, che la bellezza è oggi, anche se una epidemia sconvolge piani e vite, è nelle azioni di responsabilità e nei gesti di altruismo che facciamo, è nella mancanza quanto nell’abbondanza, è dentro, non fuori alle cose e alle persone.
La bellezza di parole buone giunte nel momento in cui se ne ha bisogno è il segno del divino dentro i nostri cuori.




venerdì 3 gennaio 2020

3 gennaio 2020. Primo giorno nella casa della Carità.

‘ Ha guardato me che non sono niente , ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore’ 

Il primo risveglio qui. Dopo la prima notte, e dopo la prima lode. 
Siamo felici, ieri quando siamo arrivati siamo stati accolti da tanti messaggi di vicinanza, da una squisita torta ed avvolto da parole bellissime.


In un biglietto c’era un invito, a non avere paura e a camminare gioiosi verso la Montagna. Ci ha colpito perché forse abbiamo iniziato proprio a far questo: a metterci in cammino. Noi 4, con Stefano che mi tiene la mano e i bimbi entusiasti di tutto. In cammino verso Gesù. 


Ieri pomeriggio suor Katia  non era in casa ed eravamo intimiditi, abbiamo deciso di attendere il suo ritorno nel nostro appartamento. Poi è venuta a bussarci Antonella e ci ha portato in casa, con un sorriso sincero e la gioia di quando vai a trovare un amico. 

Abbiamo appena iniziato a camminare e già abbiamo ricevuto il dono di una visita inaspettata. 

Ieri sera abbiamo chiacchierato un pó con suor Katia, parole semplici per organizzare la nostra vita qui e una libertà  ribadita di vivere l’esperienza come ci suggerisce il nostro cuore. 
Siamo davvero grati di poter stare qui. 

16 gennaio 2019
Chi silenziosamente opera.

"Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile" S. Francesco D'Assisi

Ho letto questa frase oggi, mentre camminavo per raggiungere l'ufficio.
Questa è una frase bellissima, che ho colto quasi come se fosse un segno, l'ho subito ricondotta a questo luogo.
Da quando sono qui, rimango incantata nel vedere quante persone vengano quotidianamente in questa casa.

Esistono alcune persone che silenziosamente, senza clamore, senza pubblicità, senza post sui social, senza trombe e avvisi, dedicano un pezzetto del loro tempo agli altri.

Potrebbero non farlo e comodamente restare sui loro comodi divani. Potrebbero risparmiarsi , e considerando che non ne danno notizia ad alcuno, se non lo facessero, non verrebbero giudicati e non cambierebbe in alcun modo l'idea che il mondo ha di  loro.

Eppure si alzano presto al mattino o tardano a rincasare alla sera, rinunciano a qualche pasto in famiglia, pure di entrare in questo luogo e offrire un servizio.

Tutti quelli che ho incontrato finora mi hanno detto, timidamente, di "non fare nulla di speciale", spostando il discorso appena intrapreso con me lontano da loro. Quasi a voler nascondere o tutelare questo impegno, a lasciarlo segreto e intimo.
Perchè?

Credo che ci sia un bene, vero e profondo che deriva dall'animo, che non riesce ad autocelebrarsi, che si nutre del bene stesso, che non si guarda allo specchio ma rifugge ogni luce e riflettore. 
Credo che per queste persone capaci di provare questa pura forma di bene, esista una ricompensa che pur non avendo un valore economico e non luccicando, li disseti e li sfami, rendondoli più ricchi: l'amore riflesso negli altri.

Gli altri, le persone che incontriamo, che aiutiamo o che ci aiutano, a cui sorridiamo, essi ci restituiscono  molto di più di quanto offriamo loro, perché il loro sorriso è carico di gratitudine e amore.

Ai volontari della Casa della Carità, offro tutto il mio sostegno, la mia ammirazione
Sono una ispirazione di vita per me.

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