domenica 19 febbraio 2023



Lo devi leggere (6)

Sul dolore, sulla mancanza e sul futuro.

Sono difficili le cose belle di Matteo Nucci.





 

Quello che conferisce alla letteratura una pura e rara bellezza è l'universalità dei sentimenti che la ispirano e la muovono. 


Siamo tutti diversi, profondamente. Ce ne accorgiamo in ogni contesto, in ogni singolo momento della giornata. Ci sono i mattinieri, quello che si svegliano all’alba, i dormiglioni, quelli che odiano la sveglia che interrompe il loro sonno dolce. C’è chi fa colazione, chi no perché al mattino ha la nausea. Chi ama il caffè, come me, chi il the, chi sceglie il vestito da indossare al primo colpo e chi cambia almeno due completi diversi prima di scegliere quello giusto, chi si muove in auto, chi in bici, chi ama mangiare al ristorante, chi a casa, chi accende la televisione non appena entra in casa e chi la tiene sempre spenta, chi legge su un libro, chi sul cellulare, chi cerca gli amici e chi non risponde al telefono , chi ride sempre e chi meno, chi piange spesso e chi mai, chi corre e chi resta fermo, chi dorme sul fianco e chi a pancia in sù. 


Però c’è qualcosa che ci accomuna tutti, in ogni luogo della terra a prescindere dalla lingua che parliamo, dal mestiere che facciano, dalle abitudini che ci rappresentano, dalla latitudine dei nostri luoghi, dall’età e da tutto il resto. 


C’è una stretta forte dentro, tra lo stomaco e la gola, che proviamo quando perdiamo una persona che amiamo. 


I più fortunati tra noi sanno quanto sia triste perdere un nonno, ad esempio, da bambini, fanciulli o giovani adulti. Fortunati perché se conoscono questo dolore è perché hanno ricevuto il dono di vivere insieme ad un nonno, di conoscerlo, di trascorrere tempo e condividere storie e ricordi con lui. Il dolore che proviamo quando perdiamo chi amiamo è qualcosa di profondo, netto, continuo ed inedito e non ha nulla a che vedere con la sofferenza di un momento: è qualcosa che ci cambia, ci capovolge e ci rimane dentro.

 

Cosa daremmo per poter rivedere almeno una volta un caro che non c’è più, per parlargli e per capire in quale luogo dimora tutta quella energia che quella persona aveva dentro di se? 


Matteo Nucci prova a raccontarcelo nel suo "Sono difficili le cose belle", uno di quei libri scrigno il cui titolo rappresenta il contenuto, ma non lo definisce interamente, portandoci a leggerlo per capire quali cose, quanto difficili, quanto belle. All'autore è cara la costruzione sintattica di questo titolo, che ritroviamo in una altra sua pubblicazione e anche all'interno del libro.


Un libro scrigno fatto a strati, perchè ha tante pagine e tanti simbolismi quanti siamo in grado di leggere e accettare, di vedere e di cercare. Credo che se il lettore che è in noi lo leggesse in fasi diverse della sua vita, scoprirebbe angolazioni diverse, come accade con quei libri strepitosi come Il Vangelo, Il piccolo Principe, i miti greci e pochi altri. Un libro per tutti, diverso per ciascuno, utile ad ognuno. 


Qui si racconta un incontro, a metà tra la fiaba e il racconto onirico, tra una nonna e una nipote, che la vita ha separato ma che continuano a cercarsi e a pensarsi intensamente.


Si racconta del peso che chi rimane porta nel cuore, un peso che può trasformarsi in zavorra quando non riesce a trasformarsi. Si racconta del dolore per questo peso che conserva chi se ne va e che invece dovrebbe diventare qualcosa di leggero e intangibile.


Attraverso la tenerezza di dieci anni vissuti insieme (la nipote ha dieci anni di ricordi con la nonna) e grazie a tanti flashback che vengono rivissuti con le medesime emozioni di un tempo e lo sguardo postumo del presente, le due protagoniste ritrovano la gioia del tempo che hanno condiviso e provano a trovare modi nuovi per continuare a vivere pur essendo altro, pur essendo in altre dimensioni, pur credendo di non avere più occasioni.


I tanti episodi, in una Roma bellissima che sfoggia le sue ville e i suoi splendori, ci restituiscono il senso di un amore, quello che ci lega a chi non c'è più. 


Ed il dolore, la cura e lo sforzo che ci viene richiesto nel credere che si continui a vivere ovunque, dentro chi ci ama, nei suoi ricordi, nel suo pensiero e nei suoi gesti, sono proprio quelle fatiche i custodi della bellezza dell'amore. Un libro che consiglio a tutti, più e meno giovani, a chi sente quella stretta al cuore e trova un modo per trasformarla in qualcosa che profumi di futuro.


Conosci qualcosa di bello che non sia faticoso?

 

Buona lettura!

 

 

 

“E quando pensi che sia finita… è proprio allora che comincia la salita, che fantastica storia è la vita” A. Venditti

lunedì 13 febbraio 2023

 

L’istinto di distruggere, il desiderio di trasformare, il bisogno di costruire. Adulti e giovani, nel gioco dell’esempio


In tanti abbiamo visto, chi in diretta, chi dopo, la furia di Blanco sul palcoscenico del Festival di Sanremo 2023.

Quante volte, in altri luoghi, nelle piazze, nei parlamenti, nelle scuole, sugli spalti dei nostri stadi, nelle case e persino negli ambienti di lavoro capitano simili scene?

I fischi, il disprezzo, il monito vengono spontanei in molti di noi.
 
Quando osserviamo i più giovani, però, che siano i nostri figli, i nostri studenti, i nostri colleghi, dobbiamo fare uno sforzo in più, provando sempre prima a indossare i loro panni, cercando di pensare come deve essere stare al “posto loro”.

È l’unica strada per sottrarsi ad un giudizio superficiale e per provare a comprendere. Con ogni probabilità non giungeremo a condividere ma possiamo forse fare tesoro di una nuova prospettiva e di un diverso sentire dal nostro.
 
A Blanco, se fosse pronto ad ascoltare, direi che la strada della distruzione, quella che lui ha scelto di percorrere, non è la soluzione. Non lo è quando le cose non funzionano, quando non tutto fila liscio come vorremmo. Un microfono che non va, una cuffia che non consente di sentire la propria voce, un inghippo audio che rende difficile se non impossibile cantare, è solo una metafora di un ostacolo.

 

E quanti sono gli ostacoli che noi tutti incontriamo nel nostro incessante correre? 

Tanti, materiali o interiori, spesso più difficili da accettare di un difetto di acustica. Ed è proprio allora, quando c’è la strada interrotta, l’istinto primordiale è quello di distruggere, di arrabbiarsi, di spaccare tutto. Perché siamo costretti a fermarci, a rinunciare, ad attendere e talvolta a cambiare. Perché forse distruggendo ci illudiamo di cancellare la difficoltà e il fallimento.

La rabbia di Blanco, i suoi calci e la scivolata sugli stessi petali che ha sparso, sono l’effetto di quell’istinto basilare.
 
Però oltre l’istinto noi uomini abbiamo in dotazione anche una razionalità, un cuore, un pensiero che ci consente di riflettere sugli eventi e sulle possibilità che tali eventi ci offrono.
 
Anche un ostacolo può diventare una occasione. Anzi, a dirla tutta, i meno giovani lo sanno bene, sono proprio le difficoltà che ci offrono la possibilità di fare qualcosa di nuovo e di trasformare quello che abbiamo davanti a noi.
 
Cosa sarebbe successo se ieri Blanco avesse ballato invece che distrutto le rose? Se avesse lasciato lo spazio solo alla musica e ai suoi musicisti? Se avesse trasformato un difetto in un nuovo modo di fare musica? Forse chi lo guardava avrebbe intravisto una soluzione diversa, quella della costruzione. Una soluzione possibile di trasformazione.
 
Si possono costruire ponti quando le strade sono interrotte da acque o da crepe, si possono studiare soluzioni quando ci sono problemi importanti, si cuciono con ago e filo i buchi nelle trame dei tessuti, si incollano con l’oro i cocci delle ceramiche, si perdona l’errore quando capita che si sbagli. Si studia per superare un esame, si fatica per raggiungere la vetta, si suda per imparare a correre. Si riprova quando qualcosa non riesce al primo tentativo, si accettano le critiche, ci si alza presto se si vogliono vedere i colori dell’alba.
 
Siamo fatti per costruire, meglio ancora per trasformare, non per distruggere.

E quando decidiamo di distruggere, presi dall’ira, è nostro compito raccogliere i cocci, spazzare via i petali.
 
Eppure il furore giovanile è da accettare, è insito nell’illusione di potenza, dei primi anni, destinata a sedarsi.

Se noi adulti oggi non scusassimo la rabbia di tutti i Blanco che incontriamo, faremmo lo stesso errore dell’artista, distruggendo la sua immagine che ora ha bisogno di essere sostenuta e forse per lo meno compresa. Non gli apriremmo una finestra verso una trasformazione.
E se anche la sua fosse una trovata commerciale o una messinscena già prevista, la sostanza non cambierebbe.
È un buon modo per trasformare il mondo e iniziare a farlo in prima persona: iniziamo noi adulti a fare quello che chiediamo ai nostri giovani.

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