lunedì 22 novembre 2021


Lo devi leggere (4)


L'acustica perfetta (Scrittori italiani e stranieri) eBook : Bignardi,  Daria: Amazon.it: Kindle Store


L’acustica perfetta: la conferma di una penna che adoro.

 

 

Un altro libro potente.

L’ha scritto sempre la penna di Bignardi. Brava davvero, un bel libro.

 

Forse è proprio vero che i libri belli non esistono in assoluto ma solo in relazione alle persone che li leggono e in relazione a quanto e a come, quello si legge, risponda alle necessità interiori del lettore.

Questo libro ha risposto alle mie, con ogni probabilità.

 

Il vero protagonista di questo libro è il destino, la strada, il senso della storia della vita delle persone.

Chi siamo davvero? Quale è il nostro karma, la ragione degli eventi che viviamo e la forza del dolore che siamo chiamati a provare?

 

 

Ci sono due ragazzi, Arno e Sara, che si innamorano, si amano, si lasciano e poi si ritrovano da giovani adulti. E allora si amano ancora, si sposano, diventano genitori. E di nuovo si allontanano.

In queste vicende, raccontante in prima persona da Arno, il passato dei due protagonisti danza con il presente. Il passato porta con sé un carico di bugie, di eventi non raccontati o omessi, di “non detto”. Il passato è quello che conduce ciascuno dei due a quello che sono diventati e alle scelte drastiche di Sara, che decide di allontanarsi da suo marito per un tempo indefinito.

 

La conoscenza del passato di sua moglie diventa il desiderio e di un nuovo bisogno di Arno, che cerca risposte e ragioni per il comportamento ritenuto folle e insensato di sua moglie. 

 

La ricerca della storia antica, delle radici e di una persona che si ama è forse la frontiera più pericolosa dell’amore perché porta ad un livello di reciproca e profonda conoscenza, che scompone l’amore e lo rivela per quello che esso rappresenta, la cura delle proprie fragilità e il balsamo delle proprie mancanze. 

 

Il viaggio di Arno si rivela salvifico. Per se stesso, perché, nello sforzo di comprendere il gesto di sua moglie e la sua storia,  imparerà a capire se stesso e a ritrovare gioia nelle passioni, nei figli e nella musica. Per Sara, che senza parole e priva di conflitto, gli racconterà attraverso gli altri la storia del suo passato, le ferite e le necessità affettive che ha sempre nascosto. Per il mondo di Arno e Sara, all’improvviso svelato nella sua nudità più totale, che troverà una nuova veste e nuova linfa.

 

Non è possibile amare l’altro se non si sa amare se stessi, se non si impara a prendersi cura dei propri talenti e della propria fragilità, se non si mette al primo posto la propria chiamata e la propria vocazione. Nemmeno i figli nutrono la nostra anima come sa fare invece l’amore verso noi stessi.

 

Difficile comprendere, leggendo il romanzo, la larghezza dei sentimenti che Arno impara a provare verso la sua Sara, la ampiezza del suo rinnovato modo di amare, il suo sguardo nuovo e sconosciuto. Uno sguardo che impara a farsi da parte per vedere qualcosa che prima non ha mai saputo osservare. 

 

Penso che il più bel regalo di questo libro sia la scoperta dell’altro che ci impone di fare, l’attesa che ci chiede di accettare ed il lessico familiare a cui ci rimanda.

 

Ho amato il modo in cui è raccontata la Sardegna, il modo in cui è narrata la riviera della Versilia, il modo in cui sono descritte le montagne ed infine con cui viene disegnata Milano. C’è una Italia poetica, sofferente, viva, nel libro di Daria. C’è l’amore per la musica (che c’è sempre nei suoi testi) come immancabile è il ritratto delle figure di madri e di padri, destinati a diventare il rifugio dei vuoti esistenziali dei figli.

 

C’è la rinnovata convinzione che l’amore vero si fondi sull’amore verso se stessi, sul rispetto verso i propri desideri e il superamento delle proprie montagne interiori. L’amore quando è vero sa aspettare, staccarsi, restare e capire. Sa cercare e lasciarsi cercare, sa parlare e accettare i silenzi. 

 






Tratto dal libro (che ascoltato su Audible, letto dall'autrice, diventa ancora più bello)


“Niente è un caso, i destini di noi tutti sono intrecciati, siamo tutti fratelli……” “Non siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli ma ognuno ha il suo destino”.

mercoledì 10 novembre 2021

 9 novembre 2021



Potrebbe essere un'immagine raffigurante spazio al chiuso

AD ALICE

 

Sei nata ieri.

Sei nata e sei bellissima.

 

Saresti potuta nascere in Puglia, ad esempio. Avresti sentito il profumo del mare. Ci sono pomeriggi, in quei luoghi magici dove è nata la tua mamma, che il mare parla e, se ti fermi sugli scogli aguzzi in ascolto, ti racconta di storie secolari, amori infiniti e bimbi nati decenni fa, pieni di sogni e progetti come te.

 

Saresti potuta nascere accanto a persone diverse, e avresti avuto braccia nuove per le coccole e  occhi di colori diversi per gli sguardi di attenzione e amore.

 

Saresti potuta nascere vicino a noi, che siamo una parte della tua famiglia e che oggi non possiamo vederti ma che attendiamo il momento per farlo.

 

Saresti potuta nascere in un periodo diverso, meno cupo e difficile, un periodo in cui le persone possono stare le une accanto alle altre senza temere per la propria salute.

 

Sarebbe potuto essere tutto diverso.

 

Ma sei nata ieri, lì, in questo istante e sei tu.

Non permettere a nessuno di dire chi tu sia.


Sei libera.


Non sei il luogo, non sei il tempo, non sei lo spazio che vivi, sei e sarai molto di più. Infinitamente più di ogni nostra immaginazione.


Ogni luogo ha una poesia da raccontare, nelle strade, nelle persone e nei cieli che lo sovrastano.

 

Ogni tempo ha il suo peso, e non esistono giorni cupi e giorni felici ma giorni di vita, che della gioia e della paura portano le tracce.

 

Diventa chi sei, chi vuoi, chi senti di essere.

 

Il mare della mamma lo hai dentro, anche i suoi racconti e il suo suono. Potrai sentirlo da ogni parte del mondo, se lo custodisci dentro di te.


Hai dentro la grandezza dei luoghi del papà, che si tramandano in tutto il mondo. Le loro energie e la sacralità di tempi pieni di conquiste.

 

Le braccia dei nonni che mancano ci sono comunque e, anche se non vicine, sono loro che hanno insegnato alla mamma a stringerti. Le hanno insegnato la dolce attesa, la sacra pazienza e la ineguagliabile fiducia in te.

 

La bellezza della vita non si giudica dalla dolcezza o durezza dei tempi ma dalla larghezza dei cuori e dallo sguardo di chi quei tempi guarda e cerca di trasformarli con l’energia di tutti i giorni.

 

Hai il nostro amore a completa disposizione, oggi e per sempre.


Quando si è felici, tutti i conti della propria vita all’improvviso tornano, tutto si spiega e anche la sofferenza diventa saggezza.

 

Li hai spiegati tutti tu, nascendo, in un momento di mancanze e di presenze, insieme.

Buona vita.

 

 

Zia

martedì 28 settembre 2021







Lo devi leggere (3)
Oggi faccio azzurro, di Daria Bignardi, Mondadori Editore, 2020




Mi è accaduta una cosa strana stamattina. 

Ero seduta in un tavolino fuori ad un caffè con una mia amica. Ci siamo sedute sul retro del bar, preferendo quel luogo intimo al più vivo cortile davanti. Ci eravamo ritagliate un attimo per aggiornarci sui nostri giorni, sulle scelte, sui pensieri e sui tempi che viviamo.

 

C’erano tutti i tavolini vuoti intorno a noi e tante sedie intorno a ciascun tavolo, in attesa di accogliere persone. 

 

Si è avvicinato un signore, sulla settantina, serioso. Ci ha salutato cordialmente. Ci ha chiesto se avesse potuto prendere la sedia che era accanto a noi. “Serve per mia moglie, siamo seduti lì davanti e non ci sono sedie! Sapete, sono due anni che non sta bene, poverina!”

 

Tra tutte le sedie vuote, ha pensato di chiedere a noi quella che era accanto alle nostre. Perché? Avrebbe potuto prenderne una altra e non chiedere nulla a nessuno. Eppure no, ha avuto il bisogno di parlare con noi.

 

Il dolore non piace a nessuno. Però tutti lo abbiamo incontrato, in qualche piega della nostra vita, in qualche racconto consegnato dai genitori, in qualche relazione vissuta. La vera fatica è accettare il dolore che proviamo, abbracciarlo e in fondo superarlo, standogli avanti piuttosto che sotto, a sorreggerlo con ogni forza possibile.


Abbiamo bisogno di portarlo addosso, di indossarlo e se possibile mostrarne gli effetti e le ustioni per comprenderne il senso.

 

Ieri sera ho finito di ascoltare un libro che consiglio e che, come spesso accade, mi ha dato le parole che cercavo proprio oggi. Lo legge l’autrice, una eclettica, profonda, spiritosa ed intelligente Daria Bignardi, esempio ed icona di una generazione, la mia, di forza al femminile. “Oggi faccio azzurro”, il titolo perfetto per la storia che racconta


Protagonista indiscusso il dolore, proveniente da diverse epoche, diverse persone e da diverse prospettive.

 

Il primo dolore è quello vissuto nel presente, da una donna abbandonata, incredula e ferita. Una donna, Galla, piena di spirito, con qualche cicatrice e deliziosi ed insiemi amari ricordi. Il racconto - che ascoltato diventa speciale perché la voce, si sa, ha una potenza intima e penetrante - testimonia l’evoluzione di questo malessere, la ricerca delle ragioni e la scoperta coraggiosa di una via di guarigione.


C’è poi un dolore raccontato, come memoria, da una donna che viene dal passato e che rappresenta il riuscitissimo collegamento tra le emozioni, l’amore, le passioni da un lato ed i colori, l’arte e i bisogni espressivi dall’altro. Una donna la cui voce diventerà una amicizia o forse un nuovo modo con cui Galla imparerà a prendersi cura di se stessa. Una donna che saprà rendere familiare a chi legge, la vita di un artista, avvicinandolo a noi.


C’è poi il dolore di chi, per professione, aiuta gli altri a superare il proprio. La “psi”, la donna e il medico, la moglie, la madre diventa lo specchio di un dolore che ci accomuna, che ci divide per unirci, che ci piega e ci chiede di raccogliere le forze. 


L’ultimo dolore è quello delle altre voci narranti (che si alternano a Galla con un espediente narrativo che funziona) e degli altri personaggi secondari. Tutti diversi ma in grado di rivelare la difficoltà collettiva di crescere, di amare, di accettare strappi, sbagli e rifiuti e di superare le paure più  intime.


Le risposte, se e quando arrivano, seguono la strada dell’amicizia, del reciproco supporto e di un coro di voci di cui vorremmo tutti ascoltare il concerto e l’esibizione.


“Le stia vicino, porti pazienza” la mia amica ed io abbiamo risposto a quell’uomo di stamattina e lui ha ricambiato con un sorriso nuovo.


Un sorriso, un ascolto, un caffè speciale che aveva lo stesso azzurro di quel libro. Pieno di tenerezza.


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“Le cose succedono, e quando succedono si governano. La vita è come l’atelier di un pittore: ci sono tele appoggiate alla parete e altre sul cavalletto, in lavorazione. Ci sono i colori, le tavolozze, i modelli. E l’ispirazione, che guida l’autore dentro l’avventura della sua opera.”

[Daria Bignardi, Oggi faccio azzurro]

mercoledì 28 luglio 2021

 Lo devi leggere... (2)


Non so niente di te, di Paola Mastrocola, Einaudi Editore, 2013

Non so niente di te - Paola Mastrocola - Libro - Einaudi - NumeriPrimi | IBS


La forza dei libri, chi legge lo sa, è quella di svelarci che sono stati scritti per noi. Per il nostro bisogno di leggerli.


Non importa chi li abbia scritti, non importa quando né dove. Importa quello che ci dicono, quello che sanno di noi quando li leggiamo e quanto riescono a portare a galla di quella caotica enormità che ci portiamo, sempre, comunque, dentro. 


"Non so niente di te" di Mastrocola è uno di quei libri, che, fingendo di raccontare la storia di Fil, dei suoi genitori in cerca di risposte, dell’amico Jeremy e di una zia allegra e romantica, racconta della eterna distanza tra padre e figlio, tra possibilità e vita, tra aspettative e realizzazione, tra silenzi e parole, tra quello che siamo e quello che potremmo essere. 


Racconta di quanto l'amore che nutriamo non garantisca affatto la comprensione piena e sincera dell'amato.


E nel farlo, parla a ciascuno di noi, a seconda del ruolo o dei ruoli che vestiamo nel vivere quotidiano. 

Parla al nostro bisogno di diventare adulti a modo nostro, cercando la strada che meglio rappresenta la nostra natura profonda. 

Parla a quello che desideriamo davvero anche se non abbiamo il coraggio di dirlo, di rivelarlo e di realizzarlo. 

Parla al nostro incessante bisogno controllo nei confronti delle persone che amiamo, partendo dai figli. 

Parla all’immaginario sociale e storico che le società contemporanee hanno creato e al valore che conferiamo al successo, alla popolarità, all’approvazione da parte degli altri. 

In fondo parla al figlio, al padre, al fratello, all’amico, alla zia che c’è in noi. 


Mentre il racconto si sviluppa e ci tocca, attraverso una tecnica vincente che consente allo scrittore di parlare dal futuro e di osservare il nostro mondo da lontano quasi come se fossimo per lui una lettura storica e sociale - e bisbigliandoci il segreto di guardare da fuori quello che non riusciamo ad accettare o a comprendere -, acquisiamo il nuovo "sguardo lungo" sulle cose. Lo stesso che che Fil, il protagonista, ci insegna ad adottare. 


Fil scopre il valore della solitudine, ad esempio, del silenzio, della lettura svincolata dalla prestazione scolastica ed universitaria. Fil scopre e ci mostra le sensazioni antiche del camminare a piedi nudi sull’erba, del viaggio, delle passeggiate, dell’attesa. Fil ci mostra un nuovo volto del talento, della intelligenza e del pensiero critico.


Fil ci ricorda il valore dell’attenzione da riporre su quello che ci circonda, la necessità di prendersi il tempo per vivere, spostandoci dall’incessante flusso e dalla dissennata corsa del mondo. 

Ci mostra un nuovo modo di guardare le cose, le persone e le foglie che cadono.


Vi innamorerete di un calabrone, che sconvolge due vite e causa un moto di felice libertà, di alcune pecore, le  uniche in grado di offrire il coraggio per uscire allo scoperto, della danza delle foglie, di alcuni incontri speciali e quasi unici, che sono in grado di cambiare lo svolgimento delle nostre vite.


"Non so niente di te" è un romanzo illuminante, sincero, ironico e tenero. 


Porto con me alcuni momenti lirici che ci raccontano i ricordi di infanzia di Fil, nelle cui trame ho ritrovato i miei abissi, i miei pensieri e il mio passato. Alcuni istanti in cui i protagonisti, indiscutibilmente, siamo noi. 


Consigliatissimo.




Breve estratto

«Forse è proprio questo, papà. Dovreste essere curiosi, voi genitori, molto curiosi dei vostri figli. Morire dalla curiosità di vedere come diavolo andrà a finire. Invece siete sempre così scontenti, così incontentabili. Sembra che conosciate già tutto. Non vi lasciate sorprendere. Peccato. Vi private di una grande felicità».

Paola Mastrocola, Non so niente di te

martedì 11 maggio 2021

Lo devi leggere…(1)



Quando tornerò, di Marco Balzano, Einaudi, 2021

 

 

Quando tornerò - Marco Balzano - Libro - Einaudi - Supercoralli | IBS



Il nuovo libro di Marco Balzano ha una copertina cinematografica: in primo piano il volto di una giovane donna in una stazione ferroviaria, ferma sulla banchina ed esposta ai binari che la condurranno altrove. Il suo sguardo però è rivolto verso il luogo che sta per abbandonare, rivolgendolo a noi che guardiamo e sembra volerci dire qualcosa.


Il libro in effetti è questo, il racconto di una storia privatissima e personale di quella donna, raccontato a tratti anche dalle voci degli altri protagonisti, i suoi due figli.


La grande protagonista, una famiglia rumena che all’improvviso si trova a vivere un distacco perché la mamma Daniela, fulcro di una casa, anello di congiunzione delle vite dei suoi figli, anima dei progetti del futuro, parte alla volta dell’Italia. 

Parte per amore dei suoi figli, per poter garantire loro un futuro che altrimenti non potrebbero nemmeno sognare, per sopperire alle mancanze di un padre pigro e incostante, per offrire loro una vita migliore.

Da questa partenza in poi, le loro vite si diramano verso direzioni individuali, sofferte, spaccate.


I tre protagonisti raccontano in prima persona, in uno stile diretto e spesso introspettivo, il proprio punto di vista, raccontano con nuda trasparenza la medesima storia, anche se colta in momenti differenti dello svolgimento. Ognuno ricorre, nel racconto, alle parole di cui è capace e soprattutto alle emozioni che le scelte degli altri causano nel proprio vissuto. 


La trama è densa di incontri con figure temporanee ma fondamentali per la comprensione delle esperienze che i tre familiari vivono. Le vicende italiane di Daniela costringono il lettore a riflettere su tanti intimi bisogni del nostro vivere, sui temi della cura, della familiarità con il disagio e la malattia, sulla solitudine e sulla inadeguatezza delle nostre vite rispetto alle necessità familiari.

Il valore della famiglia torna continuamente a scandire il racconto, oscillando tra la ricerca di intimità tra chi vive insieme (anche quando non si è parenti, anche quando non ci si parla, anche quando a legarci sono interessi diversi), il sogno del futuro radioso attraverso progetti e promesse non mantenute e una sottesa incomunicabilità tra le persone.


I loro racconti, ora più lenti ora più fitti, ora ambientati in una Italia un po’ cinica, ora in una Romania deserta ma ricca di tradizioni, teneramente ci portano a sospendere il giudizio verso le scelte altrui, anche quando queste riguardano chi ci sta vicino, anche quando non comprendiamo le ragioni di quelle azioni o, peggio, le comprendiamo ma gli effetti lacerano i nostri sguardi, impoveriscono le nostre giornate e sedimentano rabbia e tristezza.


I loro racconti, evolutivi nella crescita dei due ragazzi e drammatici nelle cicatrici che ciascuno porta addosso, ci obbligano all’ascolto delle vite degli altri, all’ascolto dei loro bisogni e soprattutto all’ascolto del loro silenzio.


I loro racconti ci restituiscono una fotografia di un presente, il nostro, che non si cura delle necessità di chi incontriamo sulla nostra strada limitandoci ad “usare” il loro tempo ed il lavoro ignorando storie personali e abissi interiori. Ci sono eventi che ci costringono spesso a rinunciare al “gusto” di vivere le nostre vite inseguendo le vite degli altri e che ci impongono di fare i conti con le scelte, con le rinunce e le difficoltà di quando si ama incondizionatamente.


Il libro regala un racconto quasi sonoro, con l'alternarsi delle voci narranti e trova il cuore centrale della trama nella attesa di una seconda possibilità, che tutti e tre cercano e desiderano, pur nella consapevolezza del tempo smarrito e che mai più sarà restituito. 


Porterò questa storia dentro al mio cassetto di libri da suggerire agli amici, ritrovando un Balzano intimo, familiare e soprattutto “storico” e storiografico, in grado di dare voce ad una invisibilità viva e pulsante, che merita un racconto, una riflessione e, perchè no, una cura. 

Davvero bello.



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Di Balzano ho letto anche "Io resto qui" e "Il figlio del figlio"



martedì 16 febbraio 2021






Un luogo per sempre

 

Non avrei mai pensato di scriverti una lettera, cara casa dei miei ultimi 16 anni.


Invece eccomi qui perché, in questo frammento di vita onirica che sto vivendo negli ultimi giorni, non esiste cosa meno folle che considerare pregne di anima persino le cose materiali. Non che ne abbiano una propria, a ben pensarci, ma posseggono uno spirito che è il frutto, miscellaneo e variegato, del vigore, dell’energia, del sogno e del lavoro che gli uomini ripongono nel pensarle, costruirle, immaginarne l’uso, offrirle, usarle, viverle e cederle.  


E quindi accade che questi oggetti, quando si infilano nelle nostre vicende private, nelle scelte di vita, nei cambi di scenario, diventano depositari di ricordi, di emozioni e persino di sentimenti. Sin da piccoli, in oggetti di poco valore, abbiamo imparato a raccogliere aspettative instaurando legami, con pupazzi, ninnoli, immagini o strumenti.


Poi cresciamo e, quando lo facciamo in modo modestamente regolare o apparentemente tale, impariamo a distaccarci dalla materia se non nella misura in cui essa soddisfa la realizzazione di bisogni della mente e del corpo volti al benessere.


Oggi però io torno bambina e ti saluto, casa dolcissima dove sono stata felice. 

Sei il luogo dove, appena sposa di un ragazzo speciale, ho imparato ad amare una città nuova, ad orientarmi. Sei il luogo dove ho imparato ad amare la mia autonomia, il mio essere diventata donna.

Porterò sempre nel cuore le tue finestre luminose, grandi e soleggiate che vedono le montagne innevate.


Sei il luogo dove siamo diventati genitori ed io mamma, dove alla musica dei sorrisi si sono mescolati i pianti ed i vagiti, e poi le storie raccontate e lette mille volte sui lettini morbidi.


Sei il luogo dove ho trascorso tante giornate con la mia famiglia di origine, un luogo che ha sempre accolto tutti facendosi largo, ha sempre prestato lo spazio per le feste e i ritrovi. 


Gli amici, tanti, li hai conosciuti tutti, hai accarezzato i nostri malanni e aspettato con me il ritorno dei viaggiatori. 


Sei un luogo che ha ispirato tanta creatività e calmato tante paure. Sei il luogo che ha reso dolce la quarantena ricordandoci la fortuna di essere vivi.


Sei un luogo dove ho scoperto l’amicizia del vicinato, preziosa.


Casa, un nome che vuol dire tanto, che diventa estensione di quello che siamo.


Ti lascio ad una nuova famiglia, che abbiamo scelto con cura per te, una famiglia che avrà altri riti, altri profumi e altre voci, ma io sono certa che in te ogni ricordo si mescolerà al presente e sapraai regalare anche ai nuovi abitanti, seppure inconsapevolmente, una parte di noi, dello spirito che lasciamo qui. 


Chissà se verrò a trovarti, sicuramente ogni volta che passerò dal tuo viale solleverò lo sguardo per salutarti e sicuramente anche una parte di te verrà a mescolarsi nella nostra nuova dimora, adesso sognata e ancora lontana.


Negli ultimi giorni ci hai dedicato luci, viste, tramonti, scenari innevati, sole, pioggia. Ci hai salutato con ogni tuo volto ed io, con affetto, porterò quegli sguardi dentro ai nuovi. Abbraccio il futuro portando con me il luogo che sei.




venerdì 1 gennaio 2021

Il bene "dentro"

1 gennaio 2021


Tutti noi, me compresa, abbiamo salutato il 2020 con gioia, quasi desiderando di cancellare un tempo in cui siamo ci siamo sentiti derubati di tutto. 

Eppure dentro al cuore c’è un sentimento diverso, quasi muto perché intimidito dall’eco condivisa dell’altro e perché profondamente diverso e rivoluzionario: la gratitudine. 

Per giorni faticosi che ci hanno lasciato qualcosa di profondo. Esiste un versetto evangelico che mi ha sempre colpito e che recita: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non accettiamo il male?" Mi ricorda un po’ gli insegnamenti che ho ricevuto da bambina, l’impegno a sbrigare prima il dovere che il piacere, la fotografia costante dei miei genitori insieme sempre in salute e in malattia, in povertà e ricchezza, i no ricevuti, enormemente più numerosi (e meno memorabili) dei pochi, importanti ed indimenticabili sí, che però erano per questo meravigliosi. 

E allora mi chiedo, perché non riconoscere a questo anno passato una dignità pari a quella dell’anno che viene? Ha portato dolore, morte, tragedie immani ma perché non accettarlo come una parte del nostro percorso, come un altro volto di un mistero sconosciuto di cui la vita è intrisa? 

Negli ultimi mesi mi aveva colpito la storia di un uomo che aveva perso la moglie dopo una lunga malattia e raccontava dei loro ultimi anni come un periodo stupendo della loro vita, nonostante l’aggravarsi del male, le limitazioni e il dolore. Perchè l’amore aveva riempito ogni piega e perché dentro al male c’era anche tanto tanto bene, nascosto dentro ma intatto nel suo valore. Questo sentimento di gratitudine non irride la sofferenza, non se ne prende gioco e non la cancella. Tutt’altro. La orienta, la riempie di fede e di amore. 

Quindi grazie 2020. Di averci ricordato che siamo fragili e miseri, egoisti, codardi e peccatori ed insieme generosi e capaci di slanci di fratellanza, coraggiosi e liberi, anche dentro quattro mura. 

Grazie per la tenacia di uomini che hanno salvato, aiutato e  curato altri uomini. Mi piace pensare che un uomo, quando fa del Bene, non rappresenta solo se stesso ma l’intera umanità. 

E gli anni, anche quando difficili, non andrebbero mai letti come singoli pezzi ma come un cammino lento della storia individuale e collettiva che, per aspera, punta sempre e fortemente alle stelle.

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