La saggezza e la speranza della “crescitura”. Sui tempi difficili.
Aprile 2017
Mi
capita sovente che la mia storia personale si intrecci con quella collettiva.
Me ne accorgo dopo qualche giorno, mentre rifletto su quello che succede.
Stiamo
vivendo giorni un po’ strani, pieni di polemiche e densi di dissapori. A
livello sociale spesso assistiamo ad episodi di violenza verbale, di
responsabilità orfane e diritti soffocati. Nelle scuole dei nostri figli, negli
uffici di chi decide la vita cittadina, nelle case di molti di noi, nei luoghi
di lavoro dove viviamo, aleggia una insoddisfazione generalizzata verso la
società civile. C’è chi fatica a rintracciare il benessere del singolo dentro
quello collettivo, c’è chi rinviene - nelle scelte politiche quotidiane -
sguardi miopi e comoda indifferenza verso le generazioni che verranno, c’è chi
non conosce il peso delle azioni che è chiamato a svolgere. Talvolta
dimentichiamo persino che le parole che ciascuno di noi pronuncia, quando siamo
insieme agli altri, possono creare crateri, dissidi, dolore e finanche odio.
Eppure da sempre, da quando siamo venuti al mondo, tante volte le
raccomandazioni materne ci hanno esortato al rispetto, anche verbale, del
mondo. Tante volte le parole degli educatori ci hanno mostrato la bellezza e la
ricchezza delle differenze tra le persone, tra le culture e tra le vite
individuali. Nonostante ciò, diventando adulti, la maggior parte di noi ha
dimenticato chi siamo, la storia dei nostri padri, la ragione delle tante
battaglie combattute, il valore di una vita di pace ed armonia. Con questi
pensieri, tutti nati dai numerosi stimoli che il mondo “fuori casa” ci offre,
ritorno a casa alla fine di una giornata qualunque e mi dedico al mio piccolo
micro-mondo in cerca di sostegno e quiete. Le cose girano, qui funzionano
(pare) e la storia mi sembra migliore.
Dopo
poco, assorta in questi pensieri, qualcuno mi chiama a voce alta ed insistente.
Il mio bimbo, 5 anni tra poco, mi dice che a scuola ha avuto male alla gamba. Non
molto, non forte, un lieve dolore come se ogni tanto qualcuno la tirasse da
dentro. Mi dice che a scuola ne ha parlato con la sua dolce maestra, che meglio
di me ha trovato i toni giusti per rassicurarlo. “Mamma mi ha abbracciato e mi
ha detto che quel male è a causa della crescitura!”.Ho riso perché non ne
potevo fare a meno, ma lui stizzito ha incalzato: “Perché quando le cose
diventano grandi, come me, per diventare alte, lunghe e forti ci vuole un po’
di dolore, sai mamma?!”.
Dopo il mio pensiero è tornato alla “crescitura” e alla saggezza di cui
i miei figli sempre mi fanno dono. Ho pensato allora ai miei giorni, al mio
tempo e alle inquietudini che nutro verso un mondo che spesso non somiglia
all’idea che io ho di lui. Ed allora mi è venuto in mente che per diventare
maturi, talvolta, si deve passare da un periodo di dolore, di difficoltà e
crisi. Perché quella stessa difficoltà, temuta e incompresa, consente al corpo
– umano e collettivo - di imparare a rialzarsi, a combattere o
semplicemente ad accettare il suo limite trasformandolo in forza.
Mi piace pensare oggi che anche il mondo “fuori casa” stia solo
crescendo, come le gambe dei bimbi, stia solo diventando migliore.
Questo
sguardo, ora, mi spinge a non rimanere ferma a guardare la crisi ma ad alzarmi
per aiutare la difficile ma inevitabile “crescitura”.
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